Israele si considera uno Stato democratico che sostiene la libertà di stampa, ma vale anche per Gaza? La domanda da tempo aleggia nella stampa e nelle istituzioni internazionali.
Nelle zone di conflitto il rischio della vita è inevitabilmente alto per tutti, i giornalisti non fanno eccezione. Questo, però, non può significare atti di arbitrio nei loro confronti da parte dei contendenti armati. Agli operatori dell’informazione in zone di guerra, infatti, è riconosciuta una specifica protezione, con una disciplina giuridica ad hoc, da parte del diritto umanitario internazionale. Questo perché l’informazione ha un ruolo essenziale nel documentare l’andamento del conflitto e il rispetto di quelle regole con le quali, proprio il diritto umanitario, ha inteso imbrigliare la guerra per limitarne la crudeltà, l’arbitrio e gli abusi. Anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu, con la Risoluzione 2222 adottata all’unanimità nel 2015, ha sancito l’importanza sul piano giuridico della protezione dei media.

Un momento in Piazza Santi Apostoli durante la manifestazione indetta dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio insieme ad Articolo 21 e altre realtà associative, Roma, 9 settembre 2025. Foto: ANSA/GIUSEPPE LAMI
Esistono, insomma, principi etici a cui le forze armate sul campo devono attenersi. Tuttavia, nella situazione di Gaza tutto è aleatorio e fumoso, non si riesce neppure a quantificare il numero preciso dei giornalisti morti finora. Secondo il Cpj, il Comitato per la protezione dei giornalisti, un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro a difesa della libertà di stampa nel mondo, è superiore a 240, una cifra piuttosto alta se si pensa che, dal 2020 al 2022, negli altri conflitti armati presenti nel mondo ne sono morti in tutto 165. A Gaza, insomma, qualcosa non torna.

Un momento in Piazza Santi Apostoli durante la manifestazione indetta dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio insieme ad Articolo 21 e altre realtà associative, Roma, 9 Settembre 2025. Foto: ANSA/GIUSEPPE LAMI
La stampa internazionale è stata allontanata da oltre un anno, il compito di informare è svolto unicamente dai giornalisti palestinesi presenti sul territorio. 197 di loro sono morti in circostanze tutt’altro che chiare. È, quindi, legittimo chiedersi se Israele non stia tentando di eliminare ogni voce critica capace di documentare i crimini che le forze armate stanno commettendo in quel luogo.

Un momento del sit in per ricordare i giornalisti uccisi nella guerra a Gaza a largo Argentina a Roma, 1 marzo 2024. Foto: ANSA/CLAUDIO PERI
Da Oriente a Occidente il clima non cambia, una ragione per condannare un giornalista la si trova sempre. A dirlo è anche il Premio Sacharov per la libertà di pensiero che quest’anno è stato assegnato a due giornalisti imprigionati per il loro lavoro: la georgiana Mzia Amaglobeli e il bielorusso Andrzej Poczobut. Simboli entrambi della lotta per la libertà di stampa, Poczobut è finito in carcere per aver criticato esplicitamente il regime bielorusso di Lukašėnka, Mzia Amaglobeli per aver partecipato alle proteste antigovernative in Georgia. In qualunque modo la si vede, la storia è sempre la stessa.