Per chi ancora non lo sapesse o non ci fosse stato, gli anni ’80 non erano per nulla meravigliosi. Gli omicidi si rincorrevano, la gente moriva e il processo al tribunale di Palermo osava dire la parola “mafia”, dapprima impronunciabile. Il film di Fiorenza Infascelli La camera di consiglio riporta alla luce con filmati d’epoca e documenti, l’incontro-scontro fra due giudici al processo palermitano – forse il più vasto della nostra storia −, cioè il presidente del tribunale Giordano (Sergio Rubini) e il suo giudice a latere (Massimo Popolizio), una pagina di importanza fondamentale: per la prima volta si osò condannare centinaia di mafiosi. Il film scava nel carattere dei giudici, rilegge in modo asciutto la storia e racconta la vita dei due che vivono come carcerati dentro il palazzo prima della sentenza. Il racconto è scarno, la leggerezza scarsa, l’argomento drammatico. Riproporlo è un atto di coraggio e di presa di coscienza su di un fenomeno mai spento.
E, per omaggiare Roma, ecco un film romanocentrico, a cominciare dagli attori, cioè Fuori la verità di Davide Minnella. È la vicenda di una famiglia che partecipa ad un nuovo gioco televisivo dove si deve dire la verità. E così Claudio Amendola, Claudia Gerini, Leo Gassman, Claudia Pandolfi si trovano a fare i conti del confine tra verità e bugia. Escono allo scoperto vite diverse, rapporti conflittuali, insoddisfazioni, speranze. E fanno male. Succede in tutte le famiglie, non solo a Roma. Diretto con romana ironia, è simpatico, ma nulla di più.

Monica Guerritore con il cast del film Anna alla Festa del cinema di Roma. ANSA/ETTORE FERRARI
Ancora Roma nel documentario di Federico Braconi Anatomia di un grande sogno sulla polisportiva di quel mondo a parte che è il quartiere San Lorenzo, e in Anna, biografia di Anna Magnani raccontata − un bel rischio – da Monica Guerritore. Non è molto piaciuto lo stile teatrale, sentenzioso del lavoro, però va dato atto alla Guerritore di aver tentato una impresa difficile su di un personaggio iconico, sfacciato come la grande attrice. Una impresa forse impossibile.
Sul fronte non italiano le novità non mancano. Se da un lato troviamo Nino della francese Pauline Loquès su un ragazzo che scopre di avere un tumore, ma tra smarrimento e disperazione vuole vivere la sua giovinezza (film molto bello), abbiamo poi una storia familiare dolente in Anemone, regia del debuttante Ronan, figlio di Daniel Day-Lewis. L’attore interpreta − siamo in Irlanda −, un padre che incontra dopo anni il fratello: ed è subito il passato, con i suoi drammi, a ritornare.

Da sinistra Louis Garrel, Alice Winocour, Angelina Jolie e Anyier Anei alla Festa del cinema di Roma. ANSA/FABIO FRUSTACI
È arrivata la diva Angiolina Jolie, altera e irraggiungibile fin dalla camminata sul tappeto rosso, protagonista di Couture della francese Alice Winocour. La Jolie, 50 anni, è una regista che scopre di avere il cancro, malattia che l’attrice conosce bene per vicende personali. Nel film si parla di moda, ma non solo, di situazioni ben oltre il glamour. Duro e fragile. Coraggioso, come è pure Die My Love di Lynne Ramsay che affronta la depressione post-partum. La coppia che vive in campagna si trova a gestire un momento difficile: lei (Jennifer Lawrence, incinta durante la lavorazione del film) scopre che lui (Robert Pattinson) non la comprende. Spaesamento, dolore, sentimenti diversi: dramma sino ad una conclusione sofferta.
È quanto offre spesso il cinema d’Oltralpe, le difficoltà del vivere. Lo fa anche il cinema italiano, ma forse con maggior morbidezza.