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In profondità > Verso l'Assemblea del Focolari/3

Un’esperienza di leadership

di Tiziana Merletti

La sfida dell’esercizio dell’autorità come servizio. La fatica di rimanere aperti alle visioni degli altri

Sono una suora francescana dei poveri. Dal 2004 al 2013 sono stata superiora generale della mia congregazione (la prima italiana). In quel momento la casa generalizia si trovava a Brooklyn (New York), perciò dire sì all’incarico è significato trasferirmi da Roma e imparare una lingua che non avevo studiato al liceo. L’impatto culturale è stato molto forte, come pure predispormi a dover tutto apprendere dell’esercizio della leadership.

Sono partita prima di tutto dall’idea di non giudicare niente e nessuno, e rimanere aperta e curiosa. Ero consapevole del rischio di farmi schiacciare dalla preoccupazione, dall’ansia e dal desiderio di non commettere errori. Un porto sicuro è stata la vita di preghiera, che si è arricchita di nuove modalità. Senza prendere i propri spazi e una certa distanza dalle situazioni di crisi, si perde la serenità e si viene travolti.

Il Capitolo generale del 2004, che aveva eletto me e le 6 consigliere, ci aveva affidato un compito importante e delicato di riorganizzazione della struttura dell’istituto. Il fatto di provenire da 4 culture diverse ci ha richiesto tempo per conoscerci, per imparare a lavorare insieme, per decidere un ritmo rispettoso ma anche efficace nei processi di discernimento e decisionali.

Solo anni dopo, la fatica di rimanere aperte alla visione dell’altra avrebbe trovato una significativa rappresentazione nella figura del poliedro, utilizzata da papa Francesco. Non eravamo interessate ad adottare lo stile piramidale, dove c’è il rischio di uno scollamento tra chi sta in cima e chi alla base. Il poliedro, invece, esprime allo stesso tempo diversità e riferimento al centro, corresponsabilità e sussidiarietà, dialogo tra tutti i punti meritevoli di ascolto e considerazione.

Attraverso l’esperienza e la formazione alla leadership, abbiamo imparato che una buona organizzazione deve puntare ad almeno altre 3 caratteristiche: essere contemplativa, generativa e profetica. Contemplativa perché sempre in ascolto di quanto lo Spirito opera nell’istituto, prendendo il tempo necessario per maturare decisioni condivise, anche quando sono dolorose. Generativa perché orientata non alla autoreferenzialità che ti dà il ruolo, quanto al dare la vita a persone, comunità, gruppi, organismi, istituzioni, perché questi, a loro volta, siano in grado di generare vita. Penso per esempio al patto generazionale: io sono qui oggi, ma dopo ci sarà qualcun altro, nel mio agire posso e devo pensare al seguito. E questo cambia la prospettiva nel guardare al futuro che mi impegno a preparare.

Profetica perché capace di affrontare le domande scomode. Mi riferisco alla necessità di saper leggere i nuovi segni dei tempi in maniera sapiente, lungimirante, senza cadere nella tentazione di seguire le mode. Siamo tutti d’accordo che ci troviamo in un cambiamento di epoca, ma dobbiamo chiederci quali sono i valori fondamentali (il primato della scelta di Dio, la vita fraterna, i voti, il senso della missione…) che non passano e cosa al contrario è negoziabile (le strutture, alcune tradizioni, una certa teologia ormai superata…).

Tra le sfide più spinose c’è l’esercizio dell’autorità come servizio, che prende le mosse non da un Dio monocratico, bensì Trinità. Tutto parte dai rapporti di reciprocità tra leader e membri. È come una danza: non esiste capacità decisionale e adesione consapevole e responsabile se non ci si mette in contatto con gli sguardi, le domande, le risposte le une delle altre. E qui si fa l’esperienza della fatica a confrontarsi con chi la pensa diversamente da te.

Coltivare un’attitudine di inclusione richiede vigilanza, ascolto, pazienza, coraggio del chiedersi: chi è che manca a questo tavolo? Chi sto escludendo e perché? Rimanere attaccati alle proprie idee e ai progetti della cui bontà siamo convinti, rischia di privarci di luci diverse, di poter ascoltare magari un appello, un messaggio, l’invito a tener presente un aspetto che ti sta sfuggendo.

E poi arriva il momento di lasciare, di passare il testimone e di farlo con libertà e distacco. L’ultimo periodo è segnato dalla preparazione del Capitolo generale, da avviare per tempo, con i discernimenti opportuni. Sempre più questo tempo di grazia richiede un coinvolgimento di tutto l’istituto, secondo quello spirito sinodale che da sempre ha caratterizzato la vita religiosa, e che oggi si arricchisce di nuove comprensioni e strumenti. Penso a tutto il materiale prodotto da ciascuna comunità in termini di riflessione sullo stato dell’istituto. Penso alla metodologia utilizzata per condurre i lavori durante il Capitolo, all’insegna della partecipazione, del dialogo, del fare casa a tutte le diverse culture presenti.

Penso ai modi con cui si affrontano le elezioni del nuovo Governo generale, attivando, laddove è possibile, processi di discernimento, in cui tutti i membri sono interpellati, in cui le persone indicate come candidate abbiano il tempo di riflettere, di confrontarsi, di pregare prima di dare la propria disponibilità. Poi certo la parola passa al corpo capitolare, chiamato ad eleggere chi ritiene più adatta a servire il bene comune dell’istituto, in modo trasparente, libero, senza cadere nella tentazione di fare lobbying, per sé o per altre (cosa peraltro vietata dal can. 646 del codice di diritto canonico).

Concluso il mio servizio, posso dire che ci sono voluti diversi mesi per rendermi conto che voltarmi indietro e considerare gli errori commessi, i vuoti lasciati, le occasioni sprecate, poteva rappresentare un’opportunità per ricominciare, pronta a riconoscere e celebrare che l’amore di Dio su tutto vince sempre!

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