Nel 2025 c’è ancora bisogno di parlare di unità e fraternità in politica, oppure è una delle tante illusioni della storia superate dagli eventi?
Credo che oggi più che mai ce ne sia bisogno. C’è bisogno, all’interno di schieramenti culturali e politici che si confrontano aspramente ogni giorno, di qualcuno che sappia leggere oltre la propaganda e la delegittimazione reciproca per portare avanti la storia.
E credo che non vada confuso col moderatismo, cioè con un atteggiamento politico soft che non prende posizione e cerca di edulcorare i messaggi. Non è questo, si tratta invece del coraggio di superare la propaganda ed i messaggi, se non di odio, di disprezzo, che sono ormai il rumore di fondo quotidiano e dire le cose ascoltando però anche la verità dell’altro.
Una frazione del nostro tempo dedicata all’ascolto e al confronto sereno con chi la pensa diversamente da me è un grande atto di civiltà umana, politica e spirituale. Del resto, lo abbiamo visto anche nei recenti accadimenti, è solo la politica, anche sollecitata da mobilitazioni popolari e nonviolente, a cambiare il corso della storia superando la violenza.
Per fare questo ci vogliono anche dei luoghi e delle opportunità fuori dalle sedi istituzionali e mediatiche di confronto: il Movimento Politico per l’Unità si candida a fare questo e nei prossimi mesi, col rinnovo delle cariche in Italia, aprirà un percorso aperto a chi vorrà dare un contributo in questa direzione.
Facciamo qualche esempio: come accennato sopra, credo sia sbagliato criticare o deridere le manifestazioni di piazza o iniziative non violente come la Flotilla perché i movimenti popolari sono un segno di partecipazione e possono incidere sulle scelte politiche e cambiare la storia, basta pensare a Solidarnosc in Polonia negli anni di papa Wojtila. In tal senso la frase di Giorgia Meloni che «la pace si costruisce e non si fa sventolando le bandiere» è poco felice e la annovero nella dose di propaganda quotidiana.
Dall’altro lato organizzare manifestazioni “Pro-Pal” mirate ad una critica unilaterale ad Israele, giusta, tacendo non solo sul 7 ottobre e sul necessario disarmo di Hamas, ma anche sulla responsabilità di questa organizzazione nell’usare scientemente da anni i civili come scudi umani nel conflitto, mi sembra una oggettiva mancanza di obiettività.
Ma, al di là della mia criticabile opinione personale, il punto è il dialogo e il superamento della polarizzazione. Il passo più difficile, paradossalmente, è proprio parlarci tra persone che credono in qualcosa di grande, nel Vangelo come ispirazione di vita, in Dio, in ideali di giustizia e di uguaglianza.
Forse perché credere, talvolta aver dato la vita per grandi ideali, ci porta a non accettare compromessi, a non giocare al ribasso, a dover dire anzi gridare la “nostra” verità tutta intera.
Tutte cose giuste, ma qua entra in gioco proprio l’aspetto che definirei “trinitario” del rapporto con l’altro e della politica: probabilmente io non possiedo tutta la verità, e ci sono buone possibilità che proprio il pensiero che più mi urta ne contenga un semino. Perlomeno provarci. Posso testimoniare che mi è servito molto spostare per qualche tempo le mie idee per poi ritrovarle arricchite anche dalla visione dell’altro. E non ha diminuito il mio slancio ad attuarle, anzi il contrario.