Tra i temi affrontati dal papa nell’intervista alla giornalista statunitense Elise Ann Allen: il dramma di Gaza, la politica sulla Cina, il ruolo delle donne, l’accoglienza alle persone Lgbt+, gli abusi, la situazione finanziaria della Santa Sede, AI e fake news.
Proprio riguardo alla complessa e annosa questione dei rapporti con la Cina, il papa americano ha offerto delle considerazioni interessanti, che assicurano continuità con la linea dei predecessori – in particolare di papa Francesco – ma anche indicano prudenza e una piena coscienza della necessità di ascolto delle diverse posizioni su un argomento che tende, spesso, a dividere sia all’interno della Chiesa cattolica che a livello geo-politico in generale.
Come ci si è resi conto da subito, Prevost tende ad avere un tipico atteggiamento di chi si impegna a costruire ponti, evitando di alimentare ulteriormente le polarizzazioni già presenti nel mondo e nella Chiesa.
Riguardo ai rapporti con il governo di Pechino, Leone XIV si è detto avviato a continuare «la politica che la Santa Sede ha seguito per alcuni anni», senza pretendere di «essere più saggio o più esperto» dei predecessori. Ha rivelato di essere, da tempo, «in costante dialogo con diverse persone cinesi» per cercare di arrivare a «una comprensione più chiara di come la Chiesa possa continuare la sua missione, rispettando sia la cultura che i problemi politici». Inoltre, ammette di prestare attenzione a quello che definisce il “significativo” gruppo di cattolici che «per molti anni, hanno vissuto una sorta di oppressione o difficoltà nel vivere liberamente la loro fede senza schierarsi». Riconosce, in generale, che la questione dei rapporti Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese resta «una situazione molto difficile». Le dichiarazioni di Leone XIV tradiscono, quindi, la dovuta prudenza nel proseguire il dialogo con Pechino, ma anche una necessaria apertura a sviluppi futuri.
Intanto, negli stessi giorni, il premier cinese, Xi Jinping, rivolgendosi al Politburo del Partito Comunista, in occasione di una sessione ad hoc, ha invitato le religioni ad accelerare i processi di sinicizzazione, di cui si parla ormai in modo chiaro da anni. Tale dimensione appare centrale nella politica interna di Xi Jinping e a tale sensibilità invita tutte e cinque le religioni, che sono riconosciute attualmente dal governo cinese: buddhismo, taoismo, islam, protestantesimo e cattolicesimo.
«Come dimostrano la storia e la pratica – ha detto Xi Jinping – solo promuovendo continuamente la sinicizzazione della religione in Cina possiamo favorire la mitezza della religione, l’armonia etnica, l’armonia sociale e la stabilità nazionale a lungo termine. In quanto Stato socialista guidato dal Partito comunista cinese – ha aggiunto – è un requisito inevitabile guidare attivamente la religione ad adattarsi alla società socialista». Un processo di sinicizzazione, dunque, che si sovrappone anche a quello di adeguamento ai requisiti di uno stato socialista.
Il premier cinese ha richiamato «le figure religiose e le masse dei credenti a stabilire saldamente una corretta visione dello Stato, della storia, della nazione, della cultura e della religione, e a rafforzare costantemente le cinque identità». Queste sono l’identificazione con la “grande madrepatria”, con la nazione cinese, con la cultura cinese, con il Partito Comunista cinese e con il socialismo con caratteristiche cinesi. Non si tratta di una novità assoluta.
Già all’arrivo dei primi cristiani in Cina nel 635, che avvenne grazie alla Via della Seta, durante la dinastia Tang, le autorità imperiali chiesero di valutare le scritture sacre dei nuovi arrivati prima di concedere loro il permesso di praticare e diffondere la loro fede nell’immenso Paese. Tale autorizzazione arrivò circa tre anni più tardi e permise la prima fioritura della fede cristiana in quella parte di mondo. La Cina, dunque, è sempre stata molto attenta a far sì che le religioni fossero un elemento di armonia e non di contrasto sociale. In tal senso, anche la figura del gesuita Matteo Ricci – e di alcuni gesuiti della sua scuola – ha segnato una tappa fondamentale. Oggi a Ricci si rifanno costantemente studiosi sia dell’ambito ecclesiale che del mondo culturale cinese, come esempio di una testimonianza cristiana che, grazie al rispetto per l’altrui cultura e tradizioni, ha favorito amicizia e, quindi, armonia e stabilità sociale.
Purtroppo – come ha ricordato il Segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin durante l’apertura del nuovo Anno Accademico della Pontificia Università Urbaniana –, in tempi più recenti il «patrocinio offerto da alcune Potenze occidentali, poneva una pesante ipoteca sul commovente lavoro missionario: sia perché limitava, in qualche modo, la libera iniziativa della Santa Sede, sia perché falsava la percezione che i Cinesi avevano della presenza missionaria, come se l’opera di evangelizzazione fosse parte integrante della politica di colonizzazione».
Tale situazione, protrattasi per alcuni secoli, ha inficiato la credibilità del cristianesimo, nonostante gli sforzi, esattamente un secolo fa, da parte dell’arcivescovo friulano Celso Costantini di avviare orientamenti pastorali che portassero a una presenza della Chiesa guidata e animata da un clero cinese. Proprio in vista di questo, Costantini aveva promosso e, di fatto, guidato il Concilio di Shanghai che raccolse, nel 1924, la Chiesa presente nel grande Paese asiatico in una assemblea che rappresentò una chiave di volta. Due anni dopo, infatti, Pio XI consacrò a Roma i primi sei vescovi cinesi dell’epoca moderna.
Proprio il Concilio di Shanghai, era stato lo scorso anno al centro di vari convegni tenutisi a Milano, a Roma e a Macao, organizzati in occasione del centenario dell’avvenimento. La riflessione storica e pastorale dell’evento e delle sue conseguenze è stata proposta da studiosi, sia cattolici che dell’ambito culturale “ufficiale” cinese, offrendo una preziosa esperienza di confronto sulla lettura di una storia difficile e, spesso, assai divisiva.
Anche il recente evento, con cui la Pontificia Università Urbaniana di Roma ha voluto aprire l’Anno Accademico, ha rappresentato una preziosa occasione per continuare questo dialogo fra il mondo della Chiesa cattolica e quello della cultura cinese, offrendo, fra l’altro, la presentazione del volume degli Atti della conferenza che nel 2024 era stata ospitata dalla stessa università romana. Il titolo del prezioso volume è “100 anni dal Concilium Sinense: tra storia e presente 1924-2024”, pubblicato da Urbaniana University Press. Una preziosa via diplomatica attraverso cultura e studio che permette di continuare un dialogo fondamentale sia per la Santa Sede che per il governo cinese.