Una favola nera. The turn of the screw (Il giro di vite) al romano Teatro dell’Opera: esecuzione perfetta.
La scena è spoglia, unica, con una parete semovente che “finge” un giardino: un grande spazio vuoto e buio evocato dalle parole del prologo e dall’incipit “gassoso” dell’orchestra, un organico da camera di 13 strumentisti diretti da Ben Glassberg con una foga trattenuta, quasi gelida nella precisione, molto adatta alla musica.
L’opera di Benjamin Britten, datata 1954, composta da un prologo e due atti per un totale di sedici scene, è una favola nera che racconta di due bambini, vittime di due fantasmi che continuano a esistere e a sottrarre loro l’innocenza. È la perdita dell’innocenza — operata dagli adulti sui piccoli — ciò che l’istitutrice dei due bambini, Flora e Miles, si trova dolorosamente a scoprire. Creatura animata dal bene, è mandata nella splendida residenza da un parente dei ragazzi che, tuttavia, vuole restarne fuori.

“The turn of the screw” (Ph. Fabrizio Sansoni). Opera di Roma
La donna scopre i dialoghi dei piccoli con gli spettri che ne hanno già minato il candore, avvicinandoli al male — un richiamo all’oggi — e ne resta atterrita, messa sull’avviso dalla governante Mrs. Grose. L’istitutrice stessa individua uno strano personaggio che appare e scompare: il defunto Peter Quint, legato alla defunta Miss Jessel, che l’ha preceduta. I due hanno un rapporto malsano con i bambini.
Britten, in quest’opera, affronta il rapporto con il soprannaturale, qui scuro e malefico, che porta al dolore dei piccoli e alla morte di Miles, forse liberato dal male. Ma la virtuosa istitutrice sarà a sua volta liberata, visto che l’ultima parola che pronuncia è malo, cioè “male”?
Opera formidabile per l’unità tra parola e musica, The turn of the screw è inquietante, acre musicalmente, costruita per variazioni su un solo tema. Con ispirazione eclettica, strumentazione aguzza e grigia, richiede un’orchestra e un direttore capaci di rendere efficacemente il suo linguaggio scuro, oscillante tra innocenza, ambiguità, oscurità e astrazione. A Roma, questa sfida è stata vinta.

“The turn of the screw” (Ph. Fabrizio Sansoni). Opera di Roma
I due ragazzini — giovanissimi, Zandy Hull (dodicenne) e Cecily Balmforth (decenne) — si sono rivelati attori-cantanti vivaci e già perfetti. Gli altri interpreti, Ian Bostridge (tenore di grande freschezza), Anna Prohaska (l’Istitutrice), Emma Bell (Mrs. Grose) e Christine Rice (Miss Jessel), hanno offerto voci belle e adatte, con intensa partecipazione personale. Convinti e convincenti in questa favola cupa, dove la luce langue sempre più, quasi “profetizzando” l’oggi.
Equilibrata la regia di Deborah Warner, che sorprendentemente “usa” la musica per muovere anima e corpo dei personaggi con una verità dolce e acre, conquistando il pubblico. Le scene chiuse di Justin Nardella, i costumi d’epoca di Luca Costigliolo e le luci raffinate e tenebrose di Jean Kalman hanno dispiegato in pieno il lato spettrale e stregonesco di questo dissidio interiore tra bene e male, cuore dell’opera.

“The turn of the screw” (Ph. Fabrizio Sansoni). Opera di Roma
Successo meritato.
Intanto, in Catalogna, il Festival di Perelada — prestigiosa rassegna musicale che ogni estate anima il castello omonimo — ha reso omaggio ai mille anni dell’abbazia di Montserrat con un programma intenso e raffinato. Il 1° ottobre, nel salone meraviglioso dell’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, a Palazzo di Spagna, si è tenuto un concerto di rara eleganza.

Immagine tratta dal sito ufficiale del Festival Castell de Peralada
Protagonisti i Vespres d’Arnadí, complesso barocco autentico, non pseudo-originale, come spesso accade oggi. Un incanto scoprire, grazie alle corde di budello degli archi, una luminosità cantabile accecante e una purezza di suono invidiabile.
Gli undici strumentisti, guidati da Dani Espasa, hanno eseguito i concerti grossi di Corelli, Scarlatti, Händel e Geminiani con la tipica foga barocca: un sentimento insieme placido e acceso, un suono caldo e umano che arriva al cuore.
Un’altra testimonianza di come la musica, nelle sue forme più pure e differenti, sappia ancora parlare al presente, sia nei teatri italiani che nei festival europei.
Meritano di essere conosciuti nel panorama musicale universale.