The Pitt – su Sky dal 24 settembre scorso – ti arriva forte addosso dalla prima inquadratura. Ti stringe col suo ritmo incalzante, col realismo marcato dei casi più disparati che piombano nel pronto soccorso di un ospedale di Pittsburgh: il Trauma Medical Center. Qui giungono a raffica storie diverse per età, estrazione sociale e cultura. Si inseriscono tra i dialoghi serrati dei medici, giovani e meno giovani, tra le loro diagnosi in lotta contro il tempo, i loro interventi per affrontare le patologie più o meno gravi che questa serie HBO accumula senza sosta.

(ph Sky)
Cercano di salvare ogni vita, i bravi medici di The Pitt, ma non sempre ce la fanno, in un contesto affollato e nervoso dove vita e morte sono spesso separate da un filo sottile. C’è di tutto in questo medical drama adrenalinico, convulso e fresco vincitore di ben 5 Emmy (tra cui miglior serie drammatica). Ci sono incidenti, malattie, sparatorie, problematiche sofisticate non sempre evidenti a un primo sguardo o popolari tra il pubblico.
The Pitt le affronta coi suoi 15 episodi di un’ora ciascuno: 15 ore equivalenti al turno del bravo (perché competente e al tempo stesso umano, paterno) dottor Michael “Robby” Robinavitch, interpretato dall’altrettanto bravo Noah Wile, anche lui premiato agli Emmy come miglior attore e già dottor Carter nell’importante E.R., con cui The Pitt conserva evidenti, interessanti legami, a partire dal creatore della serie: R. Scott Gemmill, che partecipò a (parte di) E.R. come sceneggiatore e producer.

Noah Wyle in “The Pitt”. (ph Sky)
Tutti i casi, gli interventi, le emergenze minuto per minuto si sovrappongono qui senza il fuori corsia sentimentale di altri noti medical drama, da Grey’s Anatomy in giù. Tutto avviene negli spazi del pronto soccorso: dalle 7 di mattina – da quando Robby entra in servizio – alle 10 di sera, quando smonta, nel giorno in cui ricorre il triste anniversario della morte del suo mentore, per Covid.
Quindici ore di questo eccezionale medico e del personale che lavora accanto a lui. Esperto e meno esperto, distaccato oppure ansioso, in ogni caso motivato e in continuo contrasto coi limiti della sanità pubblica americana: risorse umane sottodimensionate, professionisti spremuti in un sistema nel quale, tra medico e paziente, si inserisce il tema della speculazione economica. Sullo sfondo di una società sfibrata, problematica.

(ph Sky)
The Pitt è dunque fotografia originale dell’America contemporanea, con il suo presente non semplice che è sempre anche un po’ il presente di tutto l’Occidente.
C’è, in questo racconto ospedaliero convulso e a cento all’ora, che non chiude la sequenza prima del taglio chirurgico – ma anzi, di sangue, in modo quasi documentaristico, se ne vede parecchio – l’attualità del nostro tempo di complesse e delicate questioni bioetiche, scientifiche, politiche, sociali e storiche (c’è anche l’onda lunga della pandemia).
Tra i medici navigati e gli infermieri dell’ospedale, tra gli specializzandi e i tirocinanti, pervasi da un esile e continuo filo di solitudine, tra le tante storie compresse nella tensione e nella pressione costante, tra chi sviene e chi salva la vita al prossimo sconosciuto, tra le intuizioni, le urgenze e le operazioni, i macchinari e i camici, insomma nel contenitore del genere medical – in questo caso di ottima fattura – si compone una radiografia, stavolta in senso metaforico, di quanto accade nel mondo.

(ph Sky)
Perché ogni scatola narrativa, in particolare i medical drama, sa farsi strumento con cui si orientano le masse: arnese che contribuisce, più o meno velatamente, a formare – magari rafforzandola e indebolendola su alcune questioni – l’opinione pubblica.
Per questo ciò che sembra solo coinvolgente intrattenimento, tale non è mai, e impone uno sguardo attento, acceso, critico.