«L’America Latina è in una sorta di limbo. La maggior parte delle democrazie funziona, ma è di bassa qualità», afferma Kevin Casas-Zamora, segretario generale dell’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale (Idea International), con sede a Stoccolma. Si registra una tendenza al deterioramento della democrazia anche nei Paesi dove questa era considerata più stabile.
È fortemente colpita, ad esempio, la libertà di stampa e di espressione, il che incide direttamente sulla costruzione della sfera pubblica e sulle possibilità di una partecipazione informata. El Salvador, Nicaragua e Perù sono in cima alla lista dei Paesi con minori garanzie.
Altre categorie come “rappresentanza”, “diritti” e “stato di diritto” sono in calo, come evidenzia Idea nel rapporto “Lo stato globale della democrazia 2025: la democrazia in movimento”. Secondo questa ricerca, El Salvador (peggiorato in 10 fattori), Nicaragua (in 8) e Haiti (in 5) figurano tra i Paesi che presentano un maggiore declino democratico. Sebbene con storie molto diverse, questi Paesi mostrano una significativa coincidenza nel degrado di accesso alla giustizia, di elezioni credibili e nel consolidamento di partiti politici liberi. Venezuela e Nicaragua si sono consolidati come regimi autoritari, mentre El Salvador è entrato in un regime ibrido, un laboratorio di un nuovo autoritarismo.
Anche se non è presentato esplicitamente nel report, si sta verificando un fenomeno che attira l’attenzione nelle democrazie latinoamericane, il ricorrente interesse per i leader personalisti: coloro che propongono di cambiare tutto, per cui hanno bisogno di un tempo indeterminato e cedono alla tentazione di rimanere al potere.
Considerarsi indispensabili non è una tendenza legata ad una ideologia, come dimostra la preoccupante riforma costituzionale promossa da Nayib Bukele in El Salvador. Una riforma che gli consente di essere rieletto a tempo indeterminato. Ma anche la recente affermazione di Luiz Inácio Lula, che dichiara di sentirsi in grado di affrontare la corsa presidenziale del 2026, aspirando così per la quarta volta alla presidenza. Il presidente brasiliano ha governato complessivamente per 10 anni e 8 mesi, in un processo di trasformazione del Paese legato alla figura del leader del Partito dei Lavoratori.
Analogamente, Evo Morales in Bolivia ha cercato di ottenere un quarto mandato attraverso una modifica costituzionale, bloccata poi dai tribunali, i quali hanno stabilito che la rielezione “non è un diritto umano”, tesi alla base della sua argomentazione promossa nelle piazze. Da parte sua, il presidente colombiano Gustavo Petro ha lasciato intendere, in diverse occasioni, che per poter attuare il cambiamento che propone sarebbero necessari altri mandati di governo, accompagnando tale discorso con la promozione di una riforma costituzionale. Tutto questo senza contare i regimi dittatoriali come Nicaragua, Cuba e Venezuela.
Le tendenze al ribasso non devono però oscurare il fatto che il livello di base delle prestazioni democratiche nella regione rimane relativamente stabile, e si riscontra comunque l’impegno prevalente a tenere elezioni periodiche. Nonostante ciò, la sfida regionale di imparare a pensare a lungo termine rimane: servono progetti nazionali che superino i personalismi messianici e che possano rafforzare la società civile e le istituzioni, in modo da proteggere e consolidare la democrazia, invertendo la tendenza al declino.