L’edificio in cui vivo è internazionale e mi piace. Sono lì da due anni. Alcuni vicini di casa non si fanno ancora conoscere, i ritmi del lavoro e delle uscite non corrispondono ai miei, ma si sentono attraverso i muri… Un modo rassicurante per sapere che la vita c’è!
All’inizio mi è stata presentata un’inquilina piena di preconcetti, che mi ha mostrato l’appartamento. «Chi è avvisato è salvato», sicuramente ha pensato. Solo le persone che condividevano i suoi vizi erano molto apprezzate. Ha insistito perché conoscessi una di loro, al 1° piano: «Brontola per un nonnulla, ma rimane disponibile quando abbiamo bisogno di informazioni».
Ahimè, me ne ero accorta anch’io: mi colpivano la sua amarezza e le sue critiche facili, le sue parole volgari che gli sfiguravano il volto. «Speriamo di non avere mai a che fare con lei», pensavo… Stavo già cadendo nel pregiudizio.
Per fortuna ho dovuto fare i conti con i fatti, senza di lei non riuscivo a inserirmi secondo gli usi e i costumi del palazzo. Sia che si trattasse della lavatrice, della lavanderia o dell’accesso alle cantine…
Ho subito un furto con scasso nella mia cantina come “benvenuto” e, sorprendentemente, stavo già ricevendo un’offerta da un residente del piano terra per riparare la serratura ad un buon prezzo. Poiché non c’era più alcuna possibilità per chiudere a chiave la porta, l’ho ringraziato gentilmente senza accettare. C’era un’espressione di fastidio nei suoi occhi.
«Hai fatto bene – disse la “consulente” dell’edificio – perché un’altra persona può ripararlo per te gratuitamente». Per ringraziare la signora del 1° piano per tutti i suoi consigli e per chiederle maggiori informazioni sulla gestione, le porto una tavoletta di cioccolata. È allora che mi chiede se ho un po’ di tempo per parlarle.
Riprogrammo il mio pomeriggio e torno nel suo appartamento pieno di fumo. Ci prendiamo il tempo per conoscerci. E guai a me se non avessi detto di sì! Delphine mi racconta della sua vita e delle sigarette che ha consumato che le passano tra le dita. Mi apre il suo cuore e lascia nel mio un pesante passato di sofferenza: incidentata, abusata, ignorata, sola e poi disillusa da una vita comunitaria che non faceva per lei…
Mentre le sue parole si riversano, il suo volto si addolcisce. «È Dio che ti ha portato qui! Per la prima volta in 30 anni riesco a raccontare tutto e mi fa molto bene. Mi sento come rinascere», confessa. Da quel momento in poi è una persona completamente diversa. Non la sentiamo più brontolare a squarciagola, ma sta lavorando sodo per andare avanti.
Organizziamo un caffè insieme per altre due signore. Poi mi confida la tragedia della sua vicina di casa che sospettavo avesse commesso un torto. La notizia mi tocca e comincio a pensare bene nei suoi confronti ogni giorno, sono sorpresa quando mi apre la porta del cuore.
Poi ecco avvicinarsi un giorno un signore, che di solito mi sfuggiva, per annunciarmi la sua partenza dal palazzo per andare in Portogallo. Ha difficoltà ad esprimersi, ma capisco che vuole parlarmi. Bastano pochi gesti per far sì che preghiamo l’uno per l’altro. Sono molto toccata da questa condivisione. C’è una tale dose di compassione nei suoi occhi che distrugge il mio giudizio interiore, quello dove avevo scritto: lui è il ladro. Non importa chi! Tutto è scomparso, così come le mie cose. Resta la gioia di un vero incontro!
Margherita C.