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Leone XIV, segno di pace in un mondo diviso

a cura di Carlo Cefaloni

Carlo Cefaloni

L’elezione di un papa statunitense è un problema per Trump, più di quanto lo è stato Francesco. L’universalismo cattolico alternativo alla deriva dello scontro tra l’apparente relativismo universalista e l’aggressiva  pulsione identitaria. Intervista al filosofo Massimo Borghesi

Foto Ansa

Cosa è oggi la Chiesa di Roma dopo il papato di Francesco? È  una domanda ricorrente davanti a scenari mondiali sempre più difficili. Negli anni del pontificato di Bergoglio è stata molto importante l’opera del filosofo Massimo Borghesi per cercare di cogliere in profondità le radici culturali e teologiche del magistero di colui che è salito nel 2013  al soglio di Pietro arrivando “quasi dalla fine del mondo”.

Molte sono le attese, oggi, verso Leone XIV che proviene sempre dal continente americano ma con un tragitto che, nel segno di una vocazione agostiniana, parte da Chicago nell’Illinois per poi inculturarsi radicalmente in una regione periferica del Perù.

EPA/MIKHAIL HUACAN

Ne abbiamo parlato con il professor Borghesi dopo 4 mesi dall’elezione di papa Prevost, per cercare una lettura che attinge ad uno sguardo sulla Chiesa degli ultimi decenni

«Ovviamente – afferma Borghesi- , non è semplice indicare il tragitto della Chiesa dopo papa Francesco. Occorrerà quantomeno attendere la prima enciclica, o la prima esortazione apostolica, che in genere rappresenta il manifesto del pontificato, così come è stata per Francesco l’Evangelii Gaudium, l’esortazione apostolica del 2013 che ritengo uno dei documenti più belli che un pontefice abbia mai scritto.

Quale è stata la novità di quella esortazione?
Quel documento prendeva atto della fine della cristianità ponendo come prima opzione da seguire quella  missionaria, cioè l’idea che l’annuncio cristiano precede la morale. Prima della morale occorre un incontro, occorre un nuovo accadere del cristianesimo nel mondo contemporaneo. Si trattava di una prospettiva che segnava un netto distacco dall’idea della restaurazione etica come scopo prioritario della presenza cristiana nel mondo.

Solidarnosc, Varsavia, 10 febbraio 1981. ANSA

Non era quella una conseguenza dell’impostazione di papa Wojtyla?
Giovanni Paolo II aveva presente il modello polacco, cioè la sintesi tra Chiesa e nazione, paradigma reso affascinante dalla sua vittoria sul comunismo ateo. Grazie al sindacato cattolico Solidarnosc diventava ipotizzabile un incontro tra il cristianesimo e il mondo del lavoro in una maniera che non aveva paragoni in Europa.  La grande enciclica Laborem Exercens  contiene su questo tema delle riflessioni ancora attuali. Si trattava di un modello nazionale, ma non nazionalista, chiamato a ricucire la grande frattura tra Est e Ovest. Ricordiamo tutti come per Giovanni Paolo II l’Europa doveva tornare a respirare con i due polmoni, quello occidentale e quello orientale. Per Wojtyla Europa non coincideva con l’Occidente ma andava dall’Atlantico agli Urali. Questo orizzonte si è, oggi, di nuovo perso e siamo tornati alla contrapposizione tra Est ed Ovest.

Il modello polacco veniva proposto anche in America Latina….
Papa Wojtyla propose il modello di incontro tra cristianesimo e mondo del lavoro anche alla Chiesa latino-americana, in alternativa al capitalismo e alla teologia della liberazione filomarxista. Esso costituiva un altro modo di concepire la teologia della liberazione. Ebbe eco nel sindacato dei lavoratori latinoamericani. In Argentina contribuì a fecondare la teologia del pueblo che ebbe, tra i suoi ispiratori, Alberto Methol Ferré, uno degli intellettuali di riferimento di Jorge Mario Bergoglio. Il punto debole del modello polacco era la sua relazione con il mondo secolarizzato.

Perché un punto debole?
Perché il modello poteva portare frutti nei Paesi di forte tradizione cattolica, come l’America Latina o la Polonia comunista che vedeva nella Chiesa il baluardo della libertà, ma difficilmente poteva risultare vincente nell’Europa post-comunista. Qui il processo di secolarizzazione, contrariamente a quello che pensavano molti vescovi dell’Est, era destinato a radicalizzarsi, dopo il 1989, non ad attenuarsi. Questa era la grande illusione dei vescovi polacchi che nei primi anni ’90 credevano che, finito il comunismo, l’Europa sarebbe tornata cristiana. Anche in tanta parte del mondo cattolico si era portati a credere che la Russia sarebbe tornata alla fede e avrebbe rigenerato nella fede la stessa Europa occidentale: ex Oriente Lux.  Al contrario dopo  il 1989 abbiamo visto una più forte  secolarizzazione dei costumi, un distacco sensibile dei giovani dalla Chiesa. In Polonia il modello vincente di Solidarnosc  era destinato a venir meno. Negli anni ’90 la globalizzazione, fondata su un neocapitalismo aggressivo, ha sostituito l’universalismo cattolico. L’unità era quella dei mercati e della finanza, non già quella della fede.

Quale era la visione di Ratzinger, eletto papa Benedetto XVI dopo la scomparsa di Wojtyla?
Quando era giovane teologo, nel suo volume Introduzione al Cristianesimo del 1968, Ratzinger aveva già una percezione vivissima della scristianizzazione dei popoli europei. L’anno chiave è il 1968. Ratzinger comprese che la secolarizzazione non riguardava solo i valori, la famiglia, l’aborto, ma toccava il livello antropologico. Questa sua intuizione fu riconosciuta e sostenuta dai cosiddetti marxisti ratzingeriani che nel 2011 pubblicano un manifesto firmato da Tronti, Vacca, Barcellona e Sorbi, per confermare che la  risposta alla crisi dell’umano non poteva essere solo etico-politica, ma esistenziale. In alternativa al vento della decristianizzazione del vecchio continente, Ratzinger confidava nella testimonianza, nel moltiplicarsi di piccole comunità creative.  E tuttavia anche lungo il suo pontificato la cornice rimaneva ancora in larga misura quella etica; si trattava sostanzialmente di restaurare il diritto naturale. Non si trattava di una scelta sbagliata. L’impegno etico sul terreno giuridico era pienamente legittimo. Il problema era la priorità ideale per la Chiesa. La priorità va accordata all’annuncio cristiano o alla restaurazione etica dei costumi?  Se l’accento cade sul secondo momento, la Chiesa rischia di divenire un movimento politico caratterizzato in senso conservatore. Col risultato di non poter più incontrare una parte consistente della popolazione che si riconosce in fronti politici differenti.

Ratzinger ha avuto tra i pensatori laici estimatori insoliti a sinistra, ma molti sono quelli di destra che si pongono tuttora come suoi interpreti ufficiali…
Papa Benedetto già da cardinale aveva instaurato un dialogo fecondo con il mondo laico, sia a sinistra che a destra. Ricordo quello con Jurgen Habermas e quello con Marcello Pera. Sono i due laici che  sceglie come interlocutori di fronte al problema della secolarizzazione. Si trattava di ricomporre una nuova sintesi tra fede e ragione. Questa era la grande idea di Ratzinger. L’orizzonte era quello di una restaurazione dell’Europa, comprensibile in un papa che aveva vissuto il collasso dell’Europa, la devastazione della sua Germania, i misfatti tremendi del nazismo. La Chiesa parlava all’Occidente. Nella prospettiva ratzingeriana la sintesi tra fede e ragione era riferita, in primis, all’Occidente. Il mondo occidentale, dopo l’abbattimento delle Torri gemelle l’11 settembre 2001,  troverà però la sua coesione non  nella fede ma nel comune avversario che era l’Islam.

Con quali conseguenze?
Che l’Islam diventa il cemento dell’Occidente. Gli amici diventano tali a partire dal nemico comune. Abbiamo allora un  Occidente politico e ideologico che tenta in ogni modo di ricondurre il papato nel quadro della lotta anti-islamica. Si trattava di un progetto che era stato messo in opera già con Giovanni Paolo II ai tempi della guerra contro l’Iraq patrocinata dall’America di George Bush jr. Tentativo fallito perché papa Woytila  rimase fermissimo nella sua opposizione alla guerra, assolutamente contrario a concedere il vessillo cristiano all’Occidente in lotta contro l’Islam.

Foto ANSA / LI

Ricordiamo l’Osservatore Romano che scriveva a carrettieri cubitali “No alla guerra”….
Il papato divenne il punto di riferimento dell’opposizione “occidentale” alla guerra. La stessa sinistra europea era con Giovanni Paolo II. Le folle, i giovani erano con il Papa. Dietro la politica americana c’erano i neocon, e, tra essi, gli intellettuali cattolici Michael Novak, Richard Neuhaus, George Weigel. In Italia erano rappresentati da Giuliano Ferrara, il direttore de Il Foglio. Ferrara divenne allora, nel primo decennio del 2000, l’intellettuale di riferimento del mondo cattolico conservatore.

Parliamo di think tank tuttora molto influenti non solo negli Usa ma anche in Italia.
L’imporsi di un movimento conservatore, in Usa e in Europa, attrae la sensibilità cattolica perché esprime un opposizione alla cultura del relativismo, patrocinata dalla globalizzazione e incarnata dalla nuova sinistra postmoderna la cui ideologia, da anni, non può che favorire la destra. La sinistra postmoderna, censurando la tradizione sociale che la caratterizzava nel passato, si polarizza interamente nella questione dei diritti individuali. È la sinistra arcobaleno, erede della tradizione del ’68, per la quale ogni scelta è legittima e va codificata per legge. Si tratta dell’ideologia woke che in America è diventata dominante nel Partito democratico e spiega il movimento di reazione che ha segnato il successo di Trump e dei repubblicani. Potremmo dire che la sinistra woke è quella che lavora per la vittoria dei suoi avversari. Antitetica alla destra sul terreno dei valori e dei diritti, essa non lo è affatto sul terreno sociale. Qui destra e sinistra si sono trovate unite, nell’era della globalizzazione, nel magnificare il modello di sviluppo celebrato dal nuovo capitalismo finanziario. Proprio rispetto a questa tendenza, l’elezione di Francesco nel 2013 ha rappresentato un brusco cambiamento di direzione.

In che senso ?
Nel senso che l’opzione missionaria di Francesco ha messo in secondo piano l’agenda etica senza però sospenderla. Ricordiamo tutti le dure critiche di Francesco contro l’aborto, contro l’eutanasia, contro il modello gender. Non ha mai avuto dubbi su questo punto. Ma allo stesso tempo la dottrina sociale è tornata in primo piano, con una critica accentuata al modello liberistico trionfante nell’era della globalizzazione. Evangelii Gaudium e Laudato Si’ sono documenti fondamentali da questo punto di vista. Si è creata così una distanza con il neocapitalismo “cattolico”, quello che si era affermato negli Stati Uniti con l’interpretazione della Centesimus annus di Giovanni Paolo II.

Come è stata interpretata questa enciclica pubblicata nel 1992 da Giovanni Paolo II a cento anni dalla Rerum Novarum?
I cattolici teocon, di cui ho parlato, operarono una lettura fortemente manipolatoria della Centesimus annus.  Si concentrarono sul paragrafo 42, dove il papa distingueva la libertà d’impresa dal sistema capitalistico, per affermare che con la sua enciclica Giovanni Paolo II aveva legittimato, per la prima volta nella dottrina sociale della Chiesa, il sistema capitalistico. Si trattava  palesemente di una menzogna. Nel documento le critiche al nuovo capitalismo post-comunista, quello dell’era della globalizzazione, erano dure e senza sconti. Nondimeno la vulgata della Centesimus annus filocapitalista passò e, negli Usa, Novak, Neuhaus, Weigel, divennero i più accreditati interpreti di Giovanni Paolo II. Ne ho trattato nel mio volume Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo, uscito per Jaca Book nel 2021. Questa interpretazione, diffusa nel Catholic Neoconservative Movement, è quella rimessa in discussione da papa Francesco. Questo spiega la reazione americana al pontificato francescano.

Papa Francesco in Bolivia con i movimenti popolari 2015 ANSA / CIRO FUSCO

Con quali conseguenze?
Gli effetti sono stati violenti.  E non solo oltre atlantico. Non potendo  colpire il papa sul piano economico le critiche si sono concentrate su quello teologico, in particolare su Amoris Laetitia, il documento del 2016 in cui Francesco postula, a determinate condizioni, la possibilità dell’eucarestia per i divorziati risposati. Sono arrivate accuse pretestuose contro il Papa, accusato di essere eretico. Si è tentato in ogni modo di contrapporre il papa emerito Benedetto XVI contro Francesco, di favorire uno scisma del cattolicesimo mondiale. La violenza degli attacchi, i tentativi di delegittimare Francesco dubitando finanche della correttezza della sua elezione, hanno raggiunto picchi di violenza inauditi. L’impressione è che, dietro le dispute teologiche, ben altri fossero gli interessi in gioco. Il punto è che Francesco metteva in discussione il quadro economico-politico scaturito dal post-’89, i postulati geopolitici dell’era della globalizzazione. E questo non poteva essere tollerato. Non solo sul terreno economico ma anche su quello della pace. Sappiamo quanto si sia impegnato, sia per trovare una soluzione al conflitto tra Russia e Ucraina, come una voce che gridava nel deserto, sia nel conflitto tra Israele e Gaza.

È in questo contesto di un mondo in guerra, e di una Chiesa divisa, che muore Francesco e viene eletto Leone XIV, una difficile eredità…
La parola pace è al centro dell’attuale pontificato. Sappiamo ancora troppo poco del nuovo pontefice, alcuni punti però appaiono chiari. Il papa da agostiniano ha una forte concezione della Chiesa come unione. Vuole riportare l’unità nella Chiesa, all’unità che solo Cristo rende possibile. Quindi bisogna riportare la Chiesa alla sua radice, al suo fondamento e questo dovrebbe rassicurare i conservatori preoccupati della deriva sociale di papa Francesco. Al contempo però Leone XIV vuole continuare il cammino di Francesco sul terreno sociale e politico. E questo senza politicizzare la Chiesa. La concezione agostiniana delle due città è il modello di critica della teologia politica che il Papa adotta pienamente.

Abbiamo visto con chiarezza che Leone non ha alcuna intenzione di essere il cappellano dell’Occidente, come alcuni si erano affrettati a sperare….

Lo ha mostrato nel suo impegno per Gaza, nella  critica all’esercito di Israele richiamato espressamente nelle parole del cardinal Pizzaballa che riflettono letteralmente la posizione di Leone. Pizzaballa ha detto: “La Chiesa rimarrà qui a Gaza e non se ne andrà”. Al contempo Leone si colloca in linea con Francesco sulla questione sociale. Non a caso si chiama Leone XIV, continuatore del grande Leone XIII della Rerum Novarum. Ricucire le fratture di un mondo e di una Chiesa polarizzati e divise. Questo è lo scopo del suo pontificato e ciò spiega l’importanza della diplomazia, della figura del cardinal Parolin, il tessitore del rapporto con la Cina, tanto criticato dagli occidentalisti.

In molti dimenticano le condizioni della Chiesa all’arrivo di Francesco 

Francesco ha sollevato la Chiesa dalla situazione di paura che incombeva dopo le dimissioni di papa Benedetto, la Chiesa era allora alla deriva, le accuse di pedofilia del clero, i Vatileaks, una situazione catastrofica. Per questo Francesco doveva declericalizzare, spingere la Chiesa fuori dalle porte. È quello che ha fatto. Ha restituito alla Chiesa la dignità. Grazie alla sua testimonianza personale anche i lontani sono tornati a guardare il cristianesimo con occhi diversi. Questo, anche se i critici del papa non se ne avvedono, nel 2013 era impensabile. Un segno eloquente di questo sguardo diverso è il volume di Javier Cercas Il folle di Dio alla fine del mondo. Documento di un nuovo interesse verso la Chiesa da parte di un noto scrittore spagnolo ateo e anticlericale. E questo proprio grazie alla figura di papa Francesco.

Cosa ha di fronte il monaco agostiniano eletto papa nel 2025 ?

Ha di fronte i risultati della crisi, dell’attuale decomposizione del mondo, della divisione geopolitica tra l’Occidente e il secondo blocco: America, Russia, Cina, India. La “terza guerra mondiale a pezzi” (papa Francesco) tende, minacciosamente, a divenire una guerra mondiale totale. Ciò pone la Chiesa in una condizione difficile, di enorme responsabilità. È l’ultimo luogo universale nel declino dell’impero americano. Rappresenta il katechon, il potere che frena rispetto alla dissoluzione, alla febbre di dissoluzione che sta divorando le leadership mondiali.

Prevost è un problema per Trump?

Leone è un problema per Trump più di quanto lo fosse Francesco. Questa è una cosa che non è percepita, ma Steve Bannon, ex consigliere di Trump, lo ha notato subito dopo l’elezione: “Prevost – ha detto – è la peggiore scelta per i cattolici Maga. È stato un voto anti Trump da parte dei globalisti che gestiscono la curia. È il papa che Bergoglio e la sua cricca volevano.”  Prevost già da cardinale ha bacchettato il presidente e Vance sulla deportazioni dei migranti. Si è schierato contro la pena di morte, la proliferazione delle armi, il cambiamento climatico e ha simpatizzato con George Floyd, l’afroamericano soffocato brutalmente dalla polizia. Sono emblematiche le parole dell’influencer cospirazionista Laura Loomer, trumpiana di ferro e consigliera super fidata del presidente USA: “Il papa è anti Trump, anti Maga, a favore delle frontiere aperte, è un marxista convinto come papa Francesco. I cattolici non hanno nulla di buono da aspettarsi, un’altra marionetta marxista in Vaticano”. Leone XIV raccoglie l’eredità di Bergoglio. La vuole attuare non dividendo, però, la Chiesa ma ricomponendola.  Il suo essere allo stesso tempo statunitense e missionario in Perù lo aiuterà ad accordare i diversi mondi e quindi, si spera, a ricucire quella frattura tra America del Nord e America del Sud che Bergoglio non ha potuto realizzare.  Il suo pontificato è chiamato ad aggiornare Fratelli Tutti, la lettera enciclica di Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale del 2020, nel nuovo contesto mondiale. Mondo di nemici, non di amici. Un mondo che passa dal relativismo postmoderno, apparentemente ecumenico ed universalista, all’identitarismo particolarista. Che vede il tramonto dell’ideologia progressista verso un post-liberalismo che attrae molti cattolici. In questo passaggio un pontificato agostiniano, erede di quello ignaziano, si pone come contenimento di una deriva. Quando la polarizzazione estremizza un polo, urge una sua relativizzazione. Il “moderato” Leone costituisce un argine all’affermazione del vento di destra. L’universalismo cattolico non può farsi traino del particolarismo che dilaga nella scena mondiale.

 

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