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Giovani israeliani e palestinesi insieme a Cipro

di Chiara Andreola

- Fonte: Città Nuova

Il giornale israeliano Ynet ha raccontato l’esperienza di un campo estivo tra ragazzi dei due popoli che si rinnova ormai da 20 anni. A dare risonanza alla cosa in Italia è stato il cantautore Giacomo Lariccia, che con la sua canzone “Candela nell’oscurità” sostiene la causa della pace in Medio Oriente

Una bandiera palestinese e una israeliana annodate insieme ad una manifestazione per la pace a Roma a giugno 2025. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

In un’estate che sarà ricordata come una tra le più cruente del conflitto israelo-palestinese, si è comunque rinnovata un’iniziativa che da oltre vent’anni cerca di piantare dei semi di pace proprio tra le famiglie che, da entrambe le parti, hanno subìto un lutto: si tratta del campo estivo per giovani israeliani e palestinesi, promosso appunto da ormai più di due decenni dal Forum delle famiglie in lutto israeliano-palestinese. Fino alla ripartenza del conflitto a Gaza, gli incontri del Forum si erano tenuti in Israele; ora hanno luogo al di fuori, perché diventa pressoché impossibile per i palestinesi ottenere i visti.

A raccontarlo è la giornalista Etti Abramov, sul quotidiano online israeliano Ynet. Abramov ha partecipato di persona al campo, che si è tenuto a Cipro, in un luogo montano isolato che favorisse il raccoglimento e la mancanza di distrazioni. A partecipare sono stati una quarantina di giovani tra i 15 e i 18 anni, alcuni dei quali provenienti da famiglie direttamente colpite dagli eventi del 7 ottobre.

Abramov racconta di come non sia stato facile per gli organizzatori – possiamo ipotizzare che non lo sia mai stato davvero, ma in questi frangenti diventa ancora più difficile – trovare una struttura disposta ad ospitare questi giovani di due popoli contrapposti; e di come gli stessi giovani, inizialmente, portassero con sé rabbia, disagio, il timore di ritorsioni e di essere visti come traditori – nessuno, nell’articolo, ha infatti voluto comparire con il proprio nome – perché avevano accettato di incontrarsi con il “nemico”, ascoltarlo ed essere a propria volta ascoltati. Eppure, per quanto abbiano condiviso le proprie storie di dolore e di perdita e finanche lanciato pesanti accuse, Abramov racconta che alla fine hanno anche ballato e cantato in arabo e fatto insieme il kiddush – la benedizione che si recita all’inizio dello Shabbat e di altre feste religiose – e festeggiato insieme l’ultimo giorno del campo come un qualsiasi gruppo di adolescenti.

L’articolo riporta testimonianze di come chi era in grado di tradurre, per superare la barriera linguistica, si sia prontamente prestato a farlo; di come chi torna, anno dopo anno, lo faccia con sempre maggior disposizione ad ascoltare e ad accogliere; di come conoscere le storie gli uni degli altri aiuti a dare un nome, quello di un amico o di un’amica, alla situazione che vivono i palestinesi, o viceversa gli israeliani; e di come questo aiuti ad andare oltre la disinformazione che purtroppo è frequente sia in Israele che in Palestina, e a guardare con ottimismo al futuro e alla pace come una soluzione e non come una sconfitta.

Toccante la testimonianza di Noa, al suo secondo anno al campo, che ha riferito ad Abramov che «quando abbiamo parlato degli ostaggi, [i palestinesi] hanno avuto difficoltà a credere a certi dettagli. E questo esiste da entrambe le parti, fa parte di ciò con cui ci confrontiamo in questo campo. Ho sentito racconti di cose accadute a palestinesi qui, alle loro famiglie, che per me era difficile credere che soldati israeliani avessero fatte a mio nome, in nome del mio Paese. Ma negli ultimi due anni torno a casa sapendo che non ci sono ‘vittime palestinesi’, ma c’è la zia di Asil, che è mia amica, con cui abbiamo parlato, e che come me vuole diventare dottoressa».

«Non ci raccontano davvero cosa succede a Gaza» ha riferito ancora Evyatar, che ha perso la nonna in un attentato l’anno scorso, «né cosa succede davvero in Cisgiordania. Così anche a loro non dicono cosa stanno vivendo davvero gli ostaggi. Vedono la messa in scena di Hamas, vedono gli ostaggi sorridere con un attestato in mano e scendere dal palco. Questo è ciò che mostrano anche a loro. Mia nonna era una persona molto aperta, accogliente e amorevole. Voglio credere che mi avrebbe ascoltato, che avrebbe sentito quello che avevo da dire, quello che avevo da raccontare, e sarebbe stata orgogliosa di me, del fatto che credo in qualcosa, che lo sostengo e che inseguo la sua realizzazione».

Giacomo Lariccia

A dare risonanza a questa iniziativa presso il pubblico italiano tramite i sociali è stato tra gli altri il cantautore Giacomo Lariccia, che con il suo lavoro porta avanti la causa della pace in Medio Oriente e dà diffusione a diverse iniziative a questo scopo – come ad esempio la scuola israeliana “Hand in Hand”, frequentata congiuntamente da ragazzi arabi e israeliani. Lariccia ha lanciato, a giugno 2025, la canzone “Candela nell’oscurità”, realizzata con la cantante israeliana Noa e quella palestinese Mira Awad: un testo in italiano, ebraico ed arabo, ricavato da una poesia di Mahmoud Darwish, che è un vero e proprio inno alla pace e alla solidarietà con chi è nelle difficoltà.

«Noa e Mira Awad già avevano cantato insieme questa canzone, in ebraico, arabo e inglese – racconta Lariccia – così io, che ero entrato in contatto con loro dopo il 7 ottobre per un’intervista, mi sono proposto di fare anche la versione italiana. Ho voluto fortemente che loro stesse cantassero la parte in ebraico e in arabo. Ho ricevuto tante reazioni positive, ma anche tante critiche: da chi mi ha accusato di voler “normalizzare” il sistema oppressivo da parte israeliana, a chi invece di essere troppo vicino ai palestinesi. Io rispondo loro che simili punti di vista non sono realistici, perché l’unica possibile realtà è la convivenza di due popoli: dobbiamo uscire da questa ideologia escludente, o l’uno o l’altro, di cui siamo impregnati in Europa. Questa è una canzone in cui mi identifico molto, e che sarà inclusa nel mio disco di prossima uscita».

Nel video compaiono quelle che Lariccia definisce «quelle che sono le vere “candele nell’oscurità” nella vita di tutti i giorni: iniziative, centri culturali, scuole, accademie e teatri in cui la cultura araba ed ebraica si incontrano e si valorizzano reciprocamente. Segni concreti di coesistenza, civiltà, ma soprattutto della possibilità reale che, come diceva Gene Wilder in Frankenstein Junior, “si può fare!”».

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