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Cultura > Pittura

Zurbarán a Madrid: l’uomo e il crocifisso

di Mario Dal Bello

- Fonte: Città Nuova

Al Prado la tela unica del pittore misterioso, quasi ignoto in Italia. Dolore e amore coincidono.

“San Luca pittura la Crocifissione”. Fonte: Di Francisco de Zurbarán – Official gallery link, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=160380

Ben pochi turisti si fermano, nel museo, a scorgere la tela di Francisco de Zurbarán. Posta accanto ad una porta, tra le sale dedicate a El Greco, Murillo, Velázquez e Goya passa quasi inosservata. Eppure, la potenza spirituale di quest’opera possiede una forza trascinante che ci costringe a fermarci.

C’è un Crocifisso bruno, seminudo, issato sopra una croce nodosa, uno spettro nel buio. E sotto a lui c’è un uomo in veste penitenziale viola, anziano, lo sguardo accorato verso il martire, la bocca schiusa in un sentimento che è adorazione, sorpresa, commozione. Due figure, due luci che si affacciano dall’oscurità che non è solo fisica ma spirituale: l’uomo cerca la luce, lui, il pittore con la tavolozza in mano. E pare trovarla nel Morto, nel suo corpo scheletrico.

È un dialogo, il dialogo che una persona assetata di conforto conduce con una persona sfinita, appesa ad un tronco. Dov’è la bellezza? L’artista, che forse è davvero Zurbarán, ha dipinto il crocefisso, contrariamente alla tradizione, con i chiodi ad entrambi i piedi – siamo verso il 1650 -, a dire che ogni parte del corpo ha versato sangue. Non è questo il Cristo che grida da solo, pieno di luce candida come l’aveva reso nella tela a Siviglia (Museo de Bellas Artes). È un Cristo accompagnato dall’uomo, dal pittore vecchio, che ha avuto una carriera non facile e morirà sconosciuto.

L’artista anziano parla con una passione amorosa al Crocifisso e noi, che sostiamo davanti alla tela, in mezzo alla gente, isolati con lui, veniamo attraversati dalla sua stessa pietas. Zurbarán rivive la sofferenza del Morto, la bocca aperta: sospiro, preghiera, sorpresa. È quello che succede di fronte ai morenti o alle persone care appena spirate: dolore fortissimo, un perché detto con gli occhi, la morte che arriva dal buio come uno spettro, anche quella del Cristo simile alla nostra e che lui, il pittore, dipinge con tre soli colori: viola, bianco, bruno. L’essenziale.

Zurbarán, cioè noi, se sappiamo ascoltare il silenzio, cogliamo l’affetto del vecchio, udiamo le parole del suo cuore, i battiti del suo pensiero. Non è questo un quadro di devozione come tanti al suo tempo. È una comunione di sentimenti profondissimi, scarni e autentici, che ci soggioga. Ci fa uscire dalla sala non volendo uscire, anzi ritornandovi con lo sguardo come se lasciassimo qualcosa che ci ha avvinghiato e ci ha espresso.

Vediamo poi certo Tiziano o Bosch, ma qui è altra cosa. C’è un respiro ampio, estesissimo nella piccola tela, nel dialogo tra il pittore e il Morto che diventa anche il nostro, anzi lo è diventato. E scopriamo che il dolore e l’amore qui coincidono, sono la stessa cosa. Senza bisogno di troppo, perché Zurbarán è un contemplativo, certo, ma umano. Essenziale, come le nature morte di rara bellezza che ha dipinto e come questo dialogo che alla fine è fra due persone che scopriamo “vive”. Luminose. Perciò la tela è un unicum nell’intera storia della pittura.

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