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Cultura > I film della settimana

Due storie da non perdere

di Mario Dal Bello

La vita del giovane Enzo e quella dell’infermiera Flora, in due pellicole che meritano di essere viste

Il regista Robin Campillo a Cannes. EPA/IAN LANGSDON

Enzo

Ha sedici anni, vive in una famiglia di professionisti, ricca, una bella villa affacciata sul mare di Marsiglia. Ma non è contento. Gli manca l’aria. Perciò va a lavorare, a fare il muratore. Di scuola non ne vuol sentir parlare, al contrario del fratello maggiore, circondato da amici, da ragazze, brillante negli studi. Il padre e la madre non sono contenti, ma lo lasciano fare. Il padre soprattutto è premuroso, troppo, lo controlla. Il ragazzo al cantiere fa amicizia con un giovane ucraino, più grande di lui, conosce altri mondi, una diversa società, diventano amici.

Nel film scritto da Laurent Cantet, scomparso prematuramente, e finito da Robin Campillo, la storia indaga la crescita tumultuosa di Enzo, scostante e bisognoso d’affetto, timido e bloccato, avido di scoperte, di capire chi sia egli stesso. Enzo è in ricerca, i suoi – non il padre – vivono in un altro mondo, non lo capiscono. L’amicizia con l’ucraino non è facile, è un tipo scappato dalla guerra, non vuole tornare a casa. Enzo apre gli occhi davanti a questi racconti: sono inimmaginabili per lui. Intanto, cerca di far colpo con le ragazze, si ubriaca ad una festa, vorrebbe morire. E non è uno scherzo. Ci prova anche perché l’amico ucraino lo rifiuta. Ci vorrà un dolore intenso perché tra padre e figlio nasca qualcosa, perché la madre apra gli occhi: la vita borghese cercherà di riacchiapparlo, ma lui in verità ha forse trovato una sua via.

Pierfrancesco Favino è un attore versatile, preparato, e qui offre una delle sue migliori interpretazioni come padre che ama troppo e male, non capisce il figlio che sta cercando di distinguersi da lui. Soffre, spera, è anche lui molto solo. Più della madre, che è molto presa da sé stessa, la vita borghese, una Elodie Bochez che incarna con misura la tipica moglie che ama la società brillante. Il giovane attore Eloy Pohu è impressionante nell’incarnare Enzo, nel volto, nel passo bloccato, negli occhi desiderosi, negli scatti. Certo, il film ricorda un po’ anche Chiamami con il tuo nome di Guadagnino sotto certi aspetti, e forse Cantet non lo avrebbe voluto in questi termini. Ma non si sa. Il lavoro tuttavia è fatto molto bene, adatto a descrivere il difficile mestiere di padre, oggi.

L’attrice Leonie Benesch al Festival di Berlino. EPA/HANNIBAL HANSCHKE

Ultimo turno

Flora Linde è una giovane infermiera in un ospedale cantonale svizzero, sovraffollato e con due sole infermiere più una apprendista. Il ritmo è turbinoso, i pazienti sono tanti, le richieste incessanti. Qualcuno la tratta male come l’uomo ancora giovane, malato di cancro che le urla: «Nella mia famiglia siamo tutti longevi, perché è capitato a me di dovere morire?». C’è la donna che gioca con i figli e il marito ma vorrebbe restare sola, perché ha poca vita, o quella anziana che ama la musica e allora Flora canta con lei una canzone per addolcirla, c’è il vecchio morente che lei guarda con amore, quello che scappa dall’ospedale però le lascia un biglietto: «Grazie, lei è un angelo…»

Flora è pronta, esperta, corre, non ha un attimo per sé. Può solo telefonare un istante alla sua bambina, che vive con il padre – lei è separata – ma un attimo soltanto. E poi di corsa, anche scattando e poi chiedendo scusa, anche rimproverando per il bene della donna malata che fuma e non potrebbe. Tutti hanno paura del dolore, lei distribuisce analgesici. E tutti temono la morte. Flora nella corsa del suo ultimo turno non ce la fa a visitare una donna straniera, grave, assediata dai figli e la donna muore. Dolore immenso, senso di colpa e lacrime da sola, sulla terrazza. Pietà, stanchezza, rimorso. Poi Flora va a comporre la salma con cura infinita e si prepara a tornare a casa e qui ha un incontro che la consola, come se il suo dolore intimo venisse finalmente compreso.

Girato con la macchia da presa in spalla dietro alla straordinaria attrice Leonie Benesch dalla regista Petra Biondina Volpe, il film è teso, forte, realistico e cattura lo spettatore. In una Svizzera dove pochissimi vogliono o sanno fare l’infermiere, l’eroismo quotidiano di Flora è una luce che sa dimenticare il proprio dolore per prendersi quello degli altri.

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