Siamo in guerra, inutile illudersi, ed inutile che il nostro Occidente viva nella speranza che non ci tocchi venendo tra noi. Ci tocca, eccome. Il film grida ai soccorritori la voglia di vivere della bambina palestinese di Gaza: “Sono sola, sono tutti morti, vieni a salvarmi”, e ci spezza il cuore. Il coraggio della regista tunisina Kaouther ben Hania ha vinto ed ha aperto gli occhi al Lido a quanti non si fossero ancora accorti che non è giusto, non è umano, che a cinque anni si muoia, aspettando ore per l’arrivo – in ritardo – dei soccorsi a causa delle difficoltà burocratiche e di comunicazione in una città devastata. Hind Rajab morirà e non rivedrà il mare che ama.
La regista ha scelto di non doppiare la voce della piccola, di farla sentire così com’è, di ricostruire il contesto intorno che ancora si svolge a Gaza, facendo sentire voci, spari, crolli: la morte.
E’ un film sulla strage degli innocenti, senza una goccia di retorica e di sentimentalismo facile, di condanna esplicita, perché la condanna è già in questa piccola voce contro la durezza israeliana che non si ferma davanti a nulla. Come succede in ogni conflitto. Il film infatti trascende anche la vicenda stessa per farsi voce universale di condanna muta di ogni sofferenza innocente e di ogni insensato conflitto. E fa riflettere sulla stessa storia di Israele fin dal 1948 dominata spesso dalla violenza. Ma è sufficiente vedere questo film scarno e implacabile dove viviamo anche noi le lunghe ore di attesa dei soccorsi da parte della bambina – come è successo agli stessi attori – per sentire una autentica pietas che il racconto ci trasmette. E mentre i cosiddetti Grandi della Terra parlano di una pace che non vogliono in realtà, il cinema grida attraverso Hind Rajab la volontà di giustizia, come è giusto che faccia, raccontando la vita.
C’è pure un altro lavoro che insiste a parlare di guerra, sempre in Medio-Oriente, tramite Myriam, giovane iraniana fuggita negli Usa nel 1979 dal conflitto che insanguinava il suo popolo. Il film è Gli uccelli del monte Qaf (sezione Giornate degli Autori, rintracciabile anche su Mymovies) di Morteza Ahmadvand e Firouzeh Khosrovani. Sono 80 minuti di una storia di esilio. Myriam è una insegnante, nella sua casa americana è in contatto costante tramite una telecamera con la vita dei genitori anziani: dialoga con loro, ricorda le gioie dell’infanzia, la casa bella, le feste, le danze, gli amici scomparsi durante la guerra, la sua fuga notturna tra i monti imbiancati di neve e il gran monte che accoglie gli uccelli in viaggio, una chiara metafora del suo esilio. Gioia, dolore, ansia, nostalgia. Il dolore non finisce mai, Teheran è imbruttita, violenta.
Lavoro assai curato, di una poesia dolente e tenera, con dialoghi pieni di amore e di pudore, spia la vita dei genitori, la loro malattia, la morte, la solitudine. La fotografia è di una luminosità avvolgente, la recitazione calma, il ritmo piano. Racconta senza condannare, ma la condanna è già scritta nell’esilio. Drammatico e commovente. In attesa di una qualche consolazione.

L’attrice Valeria Bruni Tedeschi alla Mostra del Cinema di Venezia, 3 settembre 2025. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Su tutt’altro fronte, quello dell’arte, si colloca Duse di Pietro Marcello, in concorso. Narra della Divina Eleonora, ormai sul viale del tramonto. Ad essa dà anima e corpo Valeria Bruni Tedeschi con l’intento non tanto di riviverla fisicamente – la Duse aveva gli occhi scuri, l’attrice no, ad esempio -, e di farne una biografia, quanto di trasfigurarne artisticamente la personalità, come se lei e la Duse si fossero incontrate. Eleonora non sta bene, è malandata, viaggia, vuole morire recitando, è incompresa dalla figlia, dagli uomini che ha amato – Gabriele D’Annunzio al solito la sfrutterà -, si illude pensando ai favori di Mussolini, e lavora, lavora.
Ha attraversato varie epoche, la Grande Guerra, il fascismo, sul palco “è una presenza”, ma ha recitato in un solo film, per cui sappiamo poco della sua vera arte attoriale. Una donna complessa, certamente, in una sorta di guerra sottile nel suo mondo artistico ed umano. Valeria Bruni Tedeschi si immerge nella Divina, diventa”lei” – pur se con un filo di retorica ed un timbro vocale particolare -, anche con una certa follia, tra paesaggi naturali bellissimi (il Veneto, Asolo dove è sepolta), costumi perfetti e un’aura raffinata evocata con gusto. Il film è un atto d’amore per l’arte e gli artisti che si consumano per essa. Esce il 18 settembre.