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Italia, come salvare le aree interne dal declino irreversibile

di Antonio Piangiolino

- Fonte: Città Nuova

Resa pubblica la lettera aperta a Governo e Parlamento di oltre 140 vescovi a difesa delle aree interne e fragili del Paese. Intervista sulla questione dell’abbandono del territorio e i suoi possibili rimedi a Rosanna Mazzia, già sindaca di Roseto Capo Spulico (CS) e presidente dell’associazione Borghi Autentici d’Italia

Borghi autentici italiani. Nella foto Laino Borgo in Calabria. Foto https://www.borghiautenticiditalia.it/

La questione dell’abbandono in Italia di una vasta area di territorio è al centro di una lunga lettera aperta a Governo e Parlamento sottoscritta da 141 tra cardinali, arcivescovi, vescovi e abati. Il testo integrale è pubblicato sul sito della Cei e sarà consegnato all’Intergruppo che si è costituito tra i parlamentari con il nome “Sviluppo Sud, Isole e Aree Fragili”.

«Come vescovi e pastori di moltissime comunità fragili e abbandonate – afferma la lettera – non possiamo e non vogliamo rassegnarci alla prospettiva adombrata dal Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne; risuonano anzi ancor più forti, dentro di noi, le parole del profeta: «Figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele» (Ez 3,17). Non possiamo del resto non considerare come, nel corso degli anni, documenti e decreti governativi e regionali siano finiti in un ingorgo di dispositivi legislativi per lo più inapplicati, non di rado utili soltanto a consolidare la distribuzione di finanziamenti secondo logiche politico-elettorali, mettendo spesso le piccole realtà in contrasto tra loro e finendo per considerare come progetti strutturali piccoli interventi stagionali».

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo intervento a Trieste del luglio 2024 alla 50ma Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, ha affermato che «al cuore della democrazia vi sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione».

Proprio per non perdere di vista le persone, le relazioni e le comunità, continuiamo a sentire alcune testimonianze che sono in prima linea nel resistere alle ipotesi di abbandono dei territori. Dopo aver ascoltato Davide Carlucci di Recovery Sud sentiamo  Rosanna Mazzia, già sindaca di Roseto Capo Spulico (CS), presidente dell’associazione Borghi Autentici d’Italia.

Come valuta il passaggio del Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne che parla di “accompagnamento alle situazioni di spopolamento irreversibile”?
Piuttosto che concentrare gli sforzi sull’“accompagnare in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”, ripartirei e rafforzerei la straordinaria capacità di innovazione di questi territori e darei centralità a quanto è pur annunciato nel documento, e cioè sull’adozione di un approccio metodologico “basato sulle capacità dei Comuni di costruire una efficace strategia partecipativa dell’insieme dei soggetti che vivono la realtà del territorio e della comunità in prima persona”.

Ed è quello in cui sono impegnati i Comuni associati a Borghi Autentici d’Italia: una rete nazionale che accompagna e sostiene la qualità e l’innovazione dell’azione amministrativa, in connessione con la partecipazione della comunità locale, per promuovere i borghi come luoghi della contemporaneità.

Quale è lo specifico di tali comuni?
Parliamo di comunità che realizzano in concreto l’economia dell’ospitalità, capaci di trattenere i cittadini residenti e attrarre nuove forme di cittadinanza con azioni che sono un antidoto alla mercificazione dei borghi, un’occasione di reale sviluppo dei territori e per immaginare un futuro diverso.

Siamo intenzionati a raccogliere le testimonianze dei sindaci direttamente coinvolti, allo scopo di restituire, nelle diverse regioni, realtà territoriali e sociali attive e per nulla disposte a rassegnarsi al declino.

C’era stato un approccio statale diverso in passato?
Mi sorprende lo stupore per l’approccio che ispira il nuovo Piano Strategico Nazionale, che sembra certificare la morte delle aree interne. Discutibile, ma a cosa poteva condurre il modo con cui è stato attuato quanto previsto nel periodo precedente di programmazione?

Troppi progetti visionari, senza avere risorse adeguate a realizzare le fondamenta di un percorso di sviluppo e crescita con possibilità di successo: i servizi essenziali e non negoziabili in tema di sanità, istruzione e mobilità. Nel passato molta retorica e nessun cambio di rotta: progettualità invecchiate malissimo e, rispetto alle scadenze, poco è stato davvero “messo a terra”.

Se non ci si vuole limitare ad allarmarsi e ad allarmare, penso che fatta la nuova strategia – gli stessi titoli/temi, nel nuovo e nel precedente piano – sia da porre l’accento sulla governance che dovrà guidarla.

Ha riscontrato dei punti interessanti nell’ultimo documento sulle aree interne?
Ritengo utile questa indicazione richiamata nel nuovo documento: «Il quadro delle regole richiede una semplificazione, anche intervenendo ulteriormente sulla governance della strategia, ma di contro va rafforzato il coordinamento centrale, in modo che sia idoneo ad esprimere una visione sinergica e lungimirante».

Da qui partirei per lavorare ad una fase nuova con l’obiettivo di “passare la palla” ai comuni, superando la logica delle risorse straordinarie (e della loro scarsa flessibilità in termini di ammissibilità della spesa) e, allo stesso tempo, lavorando a livello nazionale per “liberare” gli accordi territoriali da logiche spartitorie (e non sempre adeguatamente rispondenti alle necessità locali) a cui abbiamo assistito anche a causa di ambiti troppo ampi e eterogenei.

Nella direzione di potenziare la capacità di spesa (e contestuale coerente definizione delle priorità) delle amministrazioni locali e dei loro bilanci ordinari, potrebbe essere utile introdurre innovazioni amministrative che coinvolgano davvero e rendano responsabili i cittadini nella programmazione ordinaria, stimolando lo sviluppo del terzo settore.

L’innovazione dei processi di co-programmazione e co-progettazione messi al centro dell’esperienza pregressa, infatti, sono spesso rimasti sulla carta anche a causa (come si rileva correttamente nel documento) dell’assenza di esperienze pregresse di associazionismo nelle aree coinvolte.

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