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Addio a Pippo Baudo, re della nostra tv

di Edoardo Zaccagnini

- Fonte: Città Nuova

Il nostro saluto a un pilastro della tv italiana, ricordiamo i suoi numerosi programmi e i talenti scoperti, ma soprattutto la sua capacità di essere stato un ponte con i cittadini telespettatori prestando ascolto e professionalità

Pippo Baudo durante lo show di Raiuno Buon compleanno… Pippo, dedicato ai 60 anni di carriera del conduttore che proprio oggi festeggia 83 anni, Roma, 07 giugno 2019. ANSA/FABIO FRUSTACI

Se non il Re, certamente Pippo Baudo è stato, della televisione italiana e del suo primo, fondamentale, irripetibile mezzo secolo, una colonna portante, una figura imprescindibile, un testimone e plasmatore essenziale. Pippo Baudo è stato l’accompagnatore principe di generazioni (e di famiglie) attraverso i sabato sera di una volta, le domeniche pomeriggio di un tempo in cui l’Italia si sedeva davanti al “caminetto” televisivo più facilmente di adesso, in relazione costante con uno schermo meno articolato e labirintico di oggi, più nazionale che internazionale, più aggregativo rispetto al presente.

Pippo Baudo ha radunato l’Italia con incredibile cadenza, porgendole la mano nel passaggio dal bianco e nero al colore, dalla paleotelevisione a una Tv più intrisa di pubblicità e politica, rassicurando sempre il suo pubblico col volto familiare, la statura vistosa ma morbida, la sua voce robusta ma spontaneamente addolcita dal sorriso ampio. Con la sua facilità di stare al gioco, conducendolo sempre con allegra autorevolezza, agendo con naturalezza da spalla nelle apparizioni dei grandi comici italiani. Quella di Benigni su tutte, forse, roboante, deflagrante, colorita al limite del consentito, resa leggera e divertente (anche) dall’indole stessa e dal mestiere solido di Pippo Baudo. Dalla sua riservata intelligenza.

Pippo Baudo è passato per un numero enorme di programmi: Settevoci, Canzonissima, Domenica In, Senza rete, Serata d’onore, Novecento, Gran Premio, Luna Park. Per i suoi memorabili, fantastici Fantastico. Per un numero incredibile di Sanremo: 13! Di cui 5 consecutivi, vissuti anche da direttore artistico, dopo la parentesi (non semplice) a Mediaset. Nessuno più di lui.

È stato sovrano accogliente di quel rito laico che (ancora) consente al Paese di guardarsi allo specchio, di fare il punto su sé stesso, di abbozzare una critica bonaria, di fatto assolutiva, dell’Italia che siamo, cantando, polemizzando e sorridendo per una settimana o giù di lì. È stato proprio Baudo a modellare Sanremo com’è: per la durata, la struttura, i dettagli di quello che rimane l’ultimo baluardo della televisione italiana che fu. Del resto, egli ha lavorato instancabilmente alle riforme e alle innovazioni, alla reinvenzione continua – anche dal punto di vista autoriale – di quella Tivù che ha traghettato per decenni, confermandosi e rafforzandosi, anno dopo anno, per il Novecento e oltre, come modello di affidabilità e di guida, con la sua capacità di gestire il davanti come il dietro le quinte.

Pippo Baudo ha scoperto talenti iconici dello spettacolo italiano: Cuccarini, Pausini, Parisi, tra i tanti (c’è stato anche Beppe Grillo), spesso attraverso quella musica importante nella sua formazione. Di quest’anima baudiana, non esibita ma misuratamente pulsante, ricordiamo spesso la giocosa Donna Rosa (anche sigla di Settevoci e presente nel musicarello Il suo nome è donna Rosa), ma in realtà la musica, tutta, ha pervaso la carriera del conduttore siciliano sin dagli anni giovanili del conservatorio, continuando a vivere nella scelta degli artisti e in qualche sua performance al pianoforte.

Accanto alla sua preparazione tecnica e gestionale, tuttavia, Pippo Baudo ha posto e offerto quella sensazione forte, puntuale, di saper ascoltare il Paese, ponendosi abilmente, ma anche sinceramente, come cittadino in prima fila, primo tra i numerosi milioni di telespettatori che ha coinvolto intorno alla sua televisione popolare nel senso migliore del termine, non incompatibile né ostile alla cultura.

Qui, forse, sta il segreto della sua assoluta grandezza: quella sua sensibilità nel farsi ponte tra attori e spettatori, intermediario – più sapiente che scaltro – tra i primi e i secondi. Come quando, sempre a Sanremo, affrontò la questione degli operai dell’Italsider offrendogli il palco dell’Ariston. Era il 1984. Si prese i suoi rischi e fu bravo. Ricordò in un’intervista, anni dopo, come quello rimane uno dei momenti migliori della sua carriera.

L’uomo che domani, 18 agosto 2025, si potrà salutare presso la camera ardente allestita al Teatro delle Vittorie di Roma, e poi mercoledì 20, nei funerali a Militello in Val di Catania, suo Paese natale, in Sicilia, è per tutti questi motivi, se non il Re, un gigante prezioso, un monumento indimenticabile, della televisione italiana.

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