Dopo tanti mesi di impegni, di corse, di fatica, si arriva nei luoghi di vacanza stremati, desiderosi di staccare la spina. Ci si ritrova sotto l’ombrellone con in testa un unico pensiero: divertirsi, riposare, camminare, nuotare, giocare e abbronzarsi. Qualcuno dei miei familiari, conoscendo il mio carattere socievole, prima di partire mi chiede di non fare subito amicizia e io cerco di obbedire.
Poi succede sempre qualcosa che mi fa cambiare idea. Accade che, senza volere, si ascoltino i discorsi dei vicini di ombrellone arrivati dai posti più vari.
C’é chi parla di ricette, di viaggi, di fatti recenti avvenuti nel mondo. Ed ecco che si viene presi da ciò che dicono e, improvvisamente, si pensa a loro non più come a gente da tenere a debita distanza, ma da conoscere. Si è coinvolti da quei pensieri a volte futili, a volte importanti e si comprende che ognuno è un piccolo mondo con la sua storia particolare, con i suoi segreti e le sue lotte, i suoi dubbi e le sue fragilità.
E così, giorno dopo giorno, c’é una sorta di avvicinamento reciproco, ci si scambia pareri, libri, riviste, indirizzi di posti da visitare o di ristoranti tipici dove andare magari una sera a cenare tutti insieme. Accade così che lo spazio tra un ombrellone e l’altro si riduca e ci si ritrova tutti insieme, a chiacchierare con una mescolanza di dialetti, di modi di dire, a ridere di tutto o a ridiventare seri quando si affrontano argomenti delicati.
Sembra che sotto l’ombrellone si riesca finalmente a trovare il tempo di guardarsi negli occhi, per parlare con calma della vita e delle sue sfaccettature. E ci si domanda perché in tanti posti ci sia la guerra che causa distruzione e morte, e come sia possibile non riuscire a trovare il modo di andare d’accordo in questo mondo dove ogni minuto scoppiano litigi e qualcuno viene ucciso da un proprio simile.
L’ultimo pomeriggio visto che tra i venticinque vicini di ombrellone parecchi leggono un mensile di opinione, Città Nuova, c’è stato un confronto sincero, aperto, aiutati dalla lettura di due articoli, scaricati con l’App o leggendo il cartaceo di luglio.
Siamo partiti con un articolo a pag 23 “ Perché avete taciuto? ” di Juan Narbona. Il giornalista paragona il nostro modo di confrontare con gli altri le nostre idee su sport, politica, religione, moda ad un duello tra spadaccini. Più che un dibattito a volte, diventa un acceso combattimento dove non c’é nessun vincitore. Può capitare che rimaniamo zitti perché le nostre idee non vengono comprese o addirittura risultano impopolari. Allora Narbona ci invita a disarmare la nostra comunicazione evitando di usare espressioni che possono ferire. Bisognerebbe fare in modo che discutere con noi sia un qualcosa di piacevole e di costruttivo in modo che tanti, colpiti dalla bellezza delle nostre idee possano chiederci: “Perché avete taciuto le vostre idee e non le avete condivise prima?”
Nell’articolo a pag. 32 di Tamara Pastorelli “Costruire la cultura dell’infanzia” il famoso pediatra Riccardo Bosi, autore di un libro straordinario “Le mille e un’infanzia:bambini, culture, migrazioni”, essendo tutti nonni, zii o genitori, ci ha fatto riflettere sui pericoli che vivono i nostri bambini: adultizzazione precoce, lavoro minorile, sfruttamento. È come se si trovassero in un mare in tempesta. Quindi noi adulti possiamo e dobbiamo essere per loro una famiglia- porto, cioè una presenza che accoglie, custodisce, protegge, trasmette sicurezza, speranza e amore curando le loro ferite e non tarpando loro le ali. Essere un porto sicuro.
Nessuno di noi si era accorto del tramonto del sole sul mare né dei bagnini che si erano avvicinati per mettere a posto i lettini e per chiudere gli ombrelloni tanto eravamo presi dai nostri discorsi.
Ora è tempo di abbracci, di saluti, di qualche pacca sulla spalla con un po’ di magone, consapevoli che in soli dieci giorni, abbiamo costruito un rapporto semplice, ma speciale.
Come afferma un mio amico recente, Tommaso Bertolasi, «l’esercizio di un pensiero plurale e di una vita condivisa potrà essere forse lampada ai passi incerti del nostro camminare in questo difficile cambiamento d’ epoca».