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In montagna…ma quale?

di Chiara Andreola

I recenti casi di pressione turistica eccessiva riportano alla ribalta il problema dell’overtourism. Eppure gli approcci alternativi esistono

Il gruppo delle odle (foto CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1445047)

Mentre preparo zaini, scarponi e quant’altro per la montagna – Dolomiti nello specifico –, leggo per l’ennesima volta notizie sulla pressione turistica eccessiva su queste zone. Dopo i fiumi di articoli sul lago di Braies (ora ad ingressi contingentati e a pagamento) e sulle Tre Cime di Lavaredo (idem), da qualche giorno il “colpevole” è il Seceda, sopra l’altoatesina Ortisei: sono circolate in rete foto di code infinite per la funivia che porta in quota, con gente in ciabattine e parasole che poi non è evidentemente nelle condizioni di fare neanche un passo su un sentiero date le calzature. Il proprietario di un terreno del luogo, stufo degli accessi (e degli eccessi) dei turisti sul suo terreno, ha provocatoriamente messo un tornello sul sentiero all’ingresso della recinzione: che però è finito su tutti i giornali, stimolando ulteriori curiosi. Apriti cielo.

I residenti, ovviamente, sono sulle barricate: passi che sul turismo ci campano tutti, ma quando arrivi a non poter parcheggiare sotto casa tua, a non poterti muovere né respirare per il traffico, a far diventare la spesa al supermercato un assalto alla diligenza, a trovare rifiuti in giro, a vedere il soccorso alpino che va a recuperare strani personaggi in infradito su una via ferrata (e su questo in realtà non c’è da scherzare perché di imprudenza si muore: il Cnsas ha registrato 83 morti e 5 dispersi dal 20 giugno al 20 luglio, +20% rispetto alla media), cominci a dire basta. E così si sta parlando anche lì di contingentare gli accessi ad un luogo con panorama mozzafiato sulle Odle, reso celebre prima dalle presentazioni di Apple e poi da una serie di influencer; mentre pare definitivamente cassata la richiesta della società che gestisce gli impianti di triplicarne la portata.

Io, da montanara vecchio stampo nonostante vecchia non sia (almeno per gli standard odierni), ricordo sempre una frase che una volta mi disse nientemeno che Reinhold Messner: sulle Alpi c’è spazio per tutti, basta non voler andare tutti a farsi un selfie nello stesso posto. E non posso non pensare che non è questa la montagna che conosco e che voglio frequentare, fatta di luoghi non meno belli, ma meno noti e che – nonostante in generale i comuni montani stiano vivendo nel complesso una nuova fioritura, come descritto dal presidente Uncem Marco Bussonesi dibatte tra spopolamento e perdita di servizi, che accoglierebbe volentieri qualche turista in più, e che mantiene una dimensione umana.

Una montagna dove il selfie mordi e fuggi non lo fai, perché ci vai per goderti il luogo per il giusto tempo e con i tuoi occhi, non con quelli del telefono. Dove non trovi le folle di auto, ma l’auto – per quanto sia necessaria per raggiungere i vari servizi, non sempre a portata di mano – nemmeno ti viene voglia di usarla, perché ti appare del tutto fuori luogo. Dove la seggiovia che portava al rifugio l’hanno chiusa perché c’era troppa poca gente, ma i gestori sono stati sufficientemente bravi da creare un tipo di turismo diverso, che lo raggiunge non per una foto e poi rientrare, ma per tempi più lunghi tra una camminata, un pranzo e un’iniziativa culturale, magari anche con pernottamento. Dove, se la salute te lo permette, ci vai per camminare e goderti la natura, non per farti portare da un impianto fino a brevi sentieri che sono strade e su cui devi sgomitare per farti spazio. Dove cammini sui sentieri, non lungo la strada perché il posto auto più vicino che hai trovato è a 2 kilometri da dove dovevi andare. Dove anche se non cammini non importa, perché, come mi disse una volta un montanaro, se per te la montagna non è bella anche solo a starci non l’hai capita. Dove non hai il megasupermercato, il ristorante che ti fa la tartare di tonno (!) e la palestra con solarium, ma acquisti l’indispensabile alla bottega di cui conosci la proprietaria, il pastin (tipica specialità di carne del bellunese, ndr) come il macellaio del paese non lo fa nessuno, e il movimento e il sole lo fai e lo prendi raggiungendo la malga.

Eh, ma questi montanari non sono mai contenti, si dirà: se il turismo non c’è lo vogliono, e se c’è dicono che è troppo e non lo vogliono più. Al di là dell’ovvia considerazione che in tutto ci vuol misura, già da anni il Club Alpino Italiano (Cai) in primo luogo ed altre realtà come Legambiente propongono soluzioni già sperimentate in luoghi come la Baviera: ossia una sorta di “spostamento organizzato” del turismo, per godere della montagna e goderne tutti – turisti ed abitanti. Quindi non investimenti per mega progetti in luoghi che già accolgono molti turisti – che peraltro, si sa, sic transit gloria mundi: quante sono le località un tempo di moda e oggi “decadute”? –, ma investimenti in termini sia economici che umani, creando reti e sostenendo le imprese e l’associazionismo locale in varie modalità, per rendere più accessibili e vivibili dal turista le valli meno frequentate. Luoghi che non possono né vorrebbero avere i grandi numeri, ma sono la base ideale per un turismo più consapevole.

Personalmente posso dire di aver visto, nei paesini dove vado, sforzi notevoli per organizzare un turismo “diverso”: passeggiate guidate, itinerari naturalistici, serate di festa, giochi e letture per bambini, iniziative per le famiglie, servizi e negozi “temporanei” per soddisfare le necessità dei villeggianti in stagione, Tutte cose che non vedevo fino a qualche anno fa, quando sembrava fosse stata quasi accettata passivamente l’idea di quel declino irreversibile di alcune zone di cui, paradossalmente, parla proprio ora l’ultima Strategia per le aree interne elaborata dal governo – e finita, infatti, sotto gli strali di molti enti locali.

Chissà, magari in realtà questa strategia è già superata dai fatti. E nel frattempo, noi, andiamo in montagna consapevolmente: attrezzati, informati su dove stiamo andando, e non nella massa – così da essere noi per primi attori di un nuovo processo virtuoso. Perché la montagna è davvero di tutti e per tutti: non solo di chi può permettersi i costosi ingressi a certi luoghi, né solo di chi è capace di arrampicarsi in sicurezza fin dove altri non arrivano.

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