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Atenagora: Sono i governanti che fanno le guerre, il popolo non le vuole

di Oreste Paliotti

Il 20 luglio 1969 il patriarca ecumenico di Costantinopoli riceveva per la prima volta una rappresentanza dei gen, i giovani dei Focolari. Il ricordo di chi c’è stato

Atenagora I

Se dovessi esprimere con una immagine chi è stato e chi è per me Atenagora I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, lo raffigurerei come in una icona bizantina seduto ad un telaio, mentre tesse un magnifico drappo dei più vari colori a simboleggiare l’unica Chiesa nella varietà delle confessioni. Solo ora posso dire in verità, grazie ad approfondite letture, di conoscere questo instancabile tessitore d’unità tra i capi di Chiese sorelle (allora non ancora intese così), sempre pronto – nonostante critiche, rifiuti, delusioni – a ricucire le lacerazioni del drappo. E solo ora posso capire meglio cosa dov’essere stata per la fondatrice dei Focolari Chiara Lubich, nel 1972, la morte di questo profeta ossessionato dall’”unico calice”: una brusca interruzione nel cammino intrapreso verso l’unità.

E pensare che nel 1967, studente universitario a Napoli appena approdato al Movimento dei Focolari, ero stato invitato a far parte di una catena di preghiere per la riuscita del primo incontro di Chiara Lubich col patriarca, fissato per il 13 giugno di quell’anno. Non solo non avevo mai sentito parlare del personaggio, ma lo stesso termine di ecumenismo mi risuonava nuovo; tuttavia avevo aderito con slancio, senza lontanamente immaginare che il 20 luglio 1969 io stesso avrei incontrato Atenagora a Istanbul.

Le cose sono andate così. Nel nascente Movimento Gen, che in quegli anni esplodeva in varie parti del mondo, con altri giovani facevo parte di un complesso musicale sulla scia del Gen Rosso e del Gen Verde. Chiamati ad animare in Libano la prima Mariapoli del Medio Oriente, siamo partiti in formazione ridotta insieme a due focolarini su un pulmino Volkswagen stracarico di noi, bagagli e strumenti musicali.

Tralascio l’avventura di un viaggio che attraverso Jugoslavia, Turchia e Siria si sarebbe concluso a Dik El Mehdi, su una collina nei dintorni di Beirut, per concentrarmi sulla tappa di Istanbul. Era il 20 luglio, domenica, quando nella mattinata ci siamo recati al Fanar, la residenza del patriarca, accompagnati da due focolarine: Aletta e Agape. Solenne nella sua tunica dai preziosi ricami ornata da una croce pettorale, le spalle coperte da un velo nero che scendeva dal copricapo, Atenagora finiva di distribuire ai fedeli nella adiacente chiesa di San Giorgio il pane benedetto che poi ognuno portava a casa.

Pochi minuti dopo, vestito di nero, ci accoglieva nel suo studio al patriarcato, seduto ad una scrivania dietro cui spiccava una foto dello storico abbraccio suo con Paolo VI a Gerusalemme il 5 gennaio 1964. C’erano con noi anche altri visitatori di varie nazionalità. Atenagora ci salutava, mentre un cameriere distribuiva l’ypovrihio, un dolce greco che consiste in una cucchiaiata pastosa alla vaniglia, resina di lentisco e zucchero immersa in un bicchiere di acqua. Gli occhi nerissimi del patriarca seguivano i gesti dei presenti per vedere se gradivano. Tutto in un clima di grande semplicità.

Poi, rivolgendosi a noi: «Dove eravate? Vi cercavo… vi amo molto». Aletta ha spiegato in francese che venivamo da Rocca di Papa, dove s’era svolto un congresso gen. Al che, rivolto all’altro gruppo, Atenagora ha iniziato a parlare del Movimento dei Focolari, in greco e poi in inglese. Infine, indirizzandosi nuovamente a noi: «Allora, l’esercito avanza? Voi siete la nostra speranza per l’unione delle Chiese, non i teologi…» (sorridendo, ad un professore di teologia lì presente ha detto alcune frasi in greco). «Ma – ha aggiunto – abbiamo un grande teologo: il papa di Roma. Io lo chiamo Paolo II perché è destinato a tradurre la dottrina dell’Apostolo in un linguaggio nuovo, dell’amore…».

A questo punto Aletta gli ha proposto di sentirci cantare. Atenagora ha fatto cenno di sì. Mentre uno di noi recuperava la chitarra che ci era stata requisita all’ingresso, ci siamo accinti – sotto gli occhi incuriositi dei presenti – a cantare il brano del Gen Rosso Ama e capirai in varie lingue, compreso il greco (traduzione fatta per l’occasione). Cantavamo e il patriarca, attento, via via s’illuminava. Sul suo volto si leggevano: gioia, compiacimento, amore. Il suo commento, mentre tutti applaudivano: «È l’epoca più bella: ci vediamo tutti fratelli, appartenenti alla stessa Chiesa; e noi viviamo quest’epoca, questo spirito, questa atmosfera di unità grazie al papa Paolo VI, che ha aperto la strada».

Poi si è alzato per farsi fotografare con noi. Mentre gli porgevamo con i saluti degli altri gen il foulard colorato del nostro congresso e la raccolta Detti gen di Chiara, ha soggiunto: «Voglio tanto bene ai miei piccoli figli, ma ancor più alle mie piccole figlie…» (riferendosi alle focolarine). Sul foulard si è informato: «È la vostra bandiera?». E Aletta, sorridendo: «Sì, la bandiera del nostro esercito». Intanto lui ripeteva «Come vi amo, mes petits fils!» e ci guardava ad uno ad uno. Ha guardato anche me come se volesse dirmi qualcosa; un attimo di silenzio, poi mi ha baciato sulla fronte, avvolgendomi quasi nella sua barba.

Il giorno dopo l’udienza, lunedì 21 luglio, abbiamo avuto notizia della passeggiata dei primi uomini sulla Luna. Mezzo mondo aveva seguito lo storico evento, ma ormai dopo quell’incontro al Fanar ero con la mente e l’anima altrove. Mentre scrivo queste note, lo sguardo mi cade su una foto del patriarca che porto sempre con me. E ripenso all’intervista a Chiara Lubich apparsa su Città Nuova subito dopo la morte di Atenagora. Ne riporto alcuni stralci:

«Succede, nella storia del cristianesimo, che Dio faccia sentire in un cuore la sua volontà per quell’epoca. E poi da quel cuore essa viene irradiata sull’umanità. Ebbene, nel cuore, nell’anima di Atenagora respirava amore. Egli era la personificazione dell’amore […] non solo in senso spirituale, ma concreto e personale per ogni creatura. Era straordinario e semplice a un tempo il modo con cui lo faceva sentire. Veramente sotto questo aspetto non ho mai trovato nessuno come lui. […] Nei colloqui […] non sentivi differenza fra argomenti importanti e piccoli atti di cortesia: tutto in lui era questa carità. Prima delle questioni da trattare, c’era per lui l’amore verso 1’altro. Lo manifestava in ogni sfumatura. Quando poi si partiva ci caricava di doni. […]

«Un altro aspetto di questo suo amore: sono note le difficoltà di vario genere, le incomprensioni, gli ostacoli esterni che ha trovato nel portare avanti la sua missione. Per lui erano tutte occasioni per parlare bene di coloro che lo ostacolavano: e lo faceva in maniera che è al di là di ogni immaginazione. Non ho mai visto una creatura simile: veramente egli sta bene solo in Paradiso! […]

«Vorrei aggiungere che il contatto con lui ha fatto aumentare dentro di me l’amore per la Madonna: egli era di casa con la Madonna… Nella parete della chiesa ortodossa di fronte alla sua abitazione vi era un’icona di Maria: m’ha confidato che a notte tarda andava ad accendervi davanti due candele: una per sé e una per il papa: “Perché se è una madre, non può avere i figli divisi” […]

«E poi mi parlava della pace: “[…] Sono i governanti che fanno le guerre, non il popolo. Il popolo non le vuole. Io non posso capire: uccidere l’altro. Siamo fratelli. E per questo il grande papa Paolo VI sente sempre il bisogno di predicare la pace. […] [come] quando è andato due anni fa in Estremo Oriente: “Sono venuto qui per portarvi una parola: l’amore”. Dobbiamo portare l’amore, dobbiamo amarci per avere la giustizia e la pace… Si è così contenti di dire all’altro: quanto ti voglio bene”».

 

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