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Persona e famiglia > Educazione

Angela Esposito: l’ambiente digitale, spazio di condivisione e inclusione

di Vittoria Terenzi

Angela Esposito, giovane insegnante di sostegno, conta 78 mila follower sul suo profilo Instagram, divenuto strumento per la divulgazione di un approccio inclusivo all’insegnamento. Ha recentemente incontrato il presidente Mattarella

Il Presidente Sergio Mattarella con gli influencer coinvolti dalla regione Veneto (foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Comunicare la bellezza dell’insegnamento attraverso i social, abitare lo spazio digitale per condividere esperienze e spunti formativi. È l’impegno di Angela Esposito, giovane insegnante e influencer. La sua community su Instagram conta circa 78 mila follower, oltre a quella su Facebook e TikTok. Di origine campana, vive a Padova dove è insegnante di sostegno presso una scuola materna.

Di recente, grazie al progetto «Veneto Creators» promosso dal presidente della Regione Luca Zaia in cui è coinvolta, ha avuto l’opportunità di incontrare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella insieme a un gruppo di trenta creators che hanno la mission di far conoscere le opportunità educative, culturali e professionali del Veneto attraverso i canali social. «È stato un grandissimo onore», ha commentato quando l’abbiamo intervistata.

Angela Esposito, foto di Gaetano Marrone

Come nasce la sua passione per l’insegnamento? Ha sempre voluto diventare insegnante di sostegno?
Dico sempre che non si nasce insegnante di sostegno, ma lo si diventa attraverso un percorso di studi anche abbastanza lungo. Sono laureata in scienze della formazione primaria e ho acquisito la specializzazione biennale per l’insegnamento agli alunni con disabilità. Nel tempo ho scoperto che questo lavoro di affiancamento agli alunni con disabilità mi piaceva tanto e ho conseguito anche altri titoli, come quello di tutor dell’apprendimento presso l’Università di Padova. Poi ho iniziato a rendere sempre più specifica la mia professione collaborando anche con le famiglie, ovviamente non di alunni della mia scuola, affiancando gli alunni come tutor.

Come nasce la sua pagina social @SostengoConLeIdee?
@SostengoConLeIdee nasce da un’esperienza fatta con il primo alunno con disabilità che ho seguito quando sono arrivata in Veneto. Inizialmente la disabilità era così complessa che sentivo di non avere gli strumenti giusti per capire di cosa avesse bisogno il mio alunno, l’ho capito nel tempo. Con l’accordo dei suoi genitori ho iniziato a condividere sui social le attività che svolgevamo insieme, i successi e gli insuccessi. Poi il mio alunno è cresciuto e i social sono diventati uno spazio di condivisione, di buone pratiche di insegnamento, di buone pratiche inclusive che interessavano a tanti insegnanti come me. Ho capito allora che ,oltre ad essere uno spazio di condivisione, questo poteva diventare uno spazio per arricchire a livello formativo dei colleghi su tutto il territorio nazionale. Da lì ho iniziato la formazione, fino ad arrivare a collaborare con molte scuole sul territorio e anche con spazi come «Fiera Didacta Italia», che è uno degli eventi formativi più importanti per gli insegnanti e con cui ho avuto l’onore di collaborare per quattro anni. @SostengoConLeIdee è stato un progetto in divenire nel quale non ho mai perso la mia identità, però spesso ricevo delle critiche perché le persone magari si aspettano di vedere qualcuno di più “patinato”.

Ha degli haters? Come interagisce con loro?
Non ho veri e propri haters, o comunque pochissimi. Più che altro, mi capita di ricevere commenti negativi da parte di persone che fraintendono il messaggio dei miei contenuti. Non è semplice, perché il mio lavoro nei social ruota attorno a qualcosa in cui credo profondamente: l’educazione, la scuola, l’inclusione. Quando un commento critico tocca questi temi, inevitabilmente colpisce anche me sul piano personale. Con il tempo ho imparato a non viverlo come un attacco diretto, ma come “parte del gioco” quando si comunica in modo pubblico. In genere cerco sempre di rispondere con chiarezza e rispetto, provando a spiegare meglio il senso del mio messaggio. Se però capisco che dall’altra parte non c’è alcuna voglia di comprendere, allora lascio andare. Non si può convincere tutti…

Come lei, anche altri docenti hanno deciso di abitare lo spazio digitale. Perché è importante questa scelta?
Più che una scelta diventa un’esigenza, nel senso che l’online ormai è il mezzo di comunicazione più utilizzato, il cellulare è lo strumento tecnologico più utilizzato anche dai nostri alunni. Noi insegniamo a giovani che, ci piaccia o non ci piaccia, sono abituati ad utilizzare dispositivi digitali. Penso che un buon insegnante debba adattarsi anche a questo nuovo modo di comunicare, deve adattarsi ma allo stesso tempo integrare a questa nuova digitalizzazione le conoscenze un po’ antiche. Credo che sia questa la chiave della relazione con i nostri alunni in classe: stare al passo senza perdere il nostro pregresso.

Può fare un esempio?
Se i miei alunni utilizzano YouTube nella loro quotidianità, devo trovare il modo giusto per far capire che YouTube non significa solo guardare video in maniera ripetuta, ma può essere anche una risorsa per ripetere la lezione di storia che abbiamo fatto oggi. Posso educarli e indirizzarli ad un utilizzo consapevole.

In che modo le tecnologie digitali possono aiutare l’apprendimento dei ragazzi e in particolare dei ragazzi con disabilità?
Lo strumento digitale è una chiave per motivare gli alunni all’apprendimento e soprattutto diventa un mezzo inclusivo perché abbatte le possibili difficoltà che potrebbero far partire gli alunni da un punto di partenza diverso. Se, ad esempio, ho un alunno che ha difficoltà nel gesto grafomotorio, quindi non riesce ad impugnare la penna, non riesce ad orientarsi sul rigo, quando devo fare la verifica in classe fornisco a tutti i miei alunni il computer. In questo modo sono tutti su un principio di equità perché utilizzare la tastiera non fa entrare in campo il gesto grafico, quindi abbatto una difficoltà per il mio alunno con disabilità e lo metto sullo stesso punto di partenza degli altri. In questo senso le tecnologie possono essere veramente inclusive, se scelte con un presupposto di pensiero critico, con un presupposto didattico, educativo, che non abbatta ma costruisca.

In che modo, invece, l’uso della tecnologia potrebbe penalizzare l’apprendimento?
Parliamo dell’intelligenza artificiale, che io trovo meravigliosa ma allo stesso tempo molto pericolosa se utilizzata in una fascia d’età che non è quella adulta. È pericolosa perché, se viene fatto un utilizzo non consapevole, uno strumento tecnologico può sostituire tutte quelle azioni cognitive che invece aiutano il nostro cervello a svilupparsi, a potenziarsi, ad abituarsi al ragionamento. Io posso padroneggiare bene l’intelligenza artificiale se però alle spalle ho un percorso di sviluppo cognitivo che mi consente di avere già il mio ragionamento e poi magari perfezionarlo, ampliarlo. Se invece sostituisco al mio sforzo cognitivo un prodotto che mi dà già il risultato, perdo qualcosa invece di guadagnarlo.

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