È pura poesia visiva, di movimento perpetuo, di gesti pennellati, di corpi che vibrano come eco dell’anima. La danza di Carolyn Carlson − coreografa, danzatrice, pedagoga, poetessa, pittrice, artista visionaria, classe 1943, icona della danza contemporanea ancora attiva artisticamente – si disegna nello spazio, si imprime nel tempo, prende forma nell’istante lasciando tracce emotive che si dissolvono per ricomporsi nell’interiorità di ciascuno. Quattro preziose coreografie da lei firmate per quattro interpreti, hanno animato l’Arena Shakespeare della Fondazione Teatro Due nell’ambito di Teatro Festival Parma. Tre magnetici assoli e un duetto, riuniti nel titolo Islands. Segno distintivo di tutta la sua carriera, gli assoli racchiudono gran parte della poetica di Carlson. Ad aprire la serata è l’introspettivo The seventh Man, interpretato da Riccardo Meneghini, da un decennio danzatore nella Carolyn Carlson Company. D’intensa presenza, il suo è un viaggio del corpo e della mente, dettato da quel numero “sette” del titolo − simbolo della perfezione umana e dell’unione degli opposti − a indicare le nozioni di cambiamento dopo un ciclo compiuto e di rinnovamento positivo. Due sedie agli opposti della scena con delle camicie sullo schienale, sono il luogo del suo divisivo convergere e sostare da una parte o dall’altra, sottolineato dalla musica percussiva e melodica di Guillaume Perret e dal cangiante disegno luci di Guillaume Bonneau. In pants e a torso nudo, inizialmente di spalle risvegliando i muscoli e sé stesso, poi sostituendo i pantaloni e indossando, dibattendosi, ora una camicia ora l’altra all’opposto, il danzatore si muove estendendo le braccia, tracciando linee morbide e ruvide, attratto e indeciso nella direzione da seguire, avvicinandosi e allontanandosi tra timore, gioia, sospensione. Quelle sue braccia protese ad afferrare qualcosa, o chiuse nelle mani che coprono il viso e lo svelano mutevole; l’immobilità del sostare seduto o in piedi; lo scatto che irrompe; l’energia che lo attraversa veloce, determinano le piccole morti e le rinascite con le quali ogni essere umano si confronta durante la sua vita.

Rabbia, paura, furore, dolore, danno impulso alla scrittura coreografica di Rage, con Sara Orselli e Juha Marsalo, presentato in anteprima nazionale. La coppia, nerovestita e immersa in una luce rossa, danza freneticamente sulla vorticosa, singhiozzante, propulsiva, urlante colonna sonora del coro finlandese Mieskuoro Huutajat (un folto gruppo di soli uomini in giacca e cravatta che esegue versioni urlate di canzoni tradizionali finlandesi). Il forte contrasto che si crea tra i movimenti impetuosi, secchi e ritmati del duo dialogante, e le rigorose tonalità del coro − che ricorda i popolari gridi di guerra Māori −, intende evocare e unificare la dualità presente nell’uomo, lo yin e lo yang, l’oscurità e la luce.

Un’immersione nel vortice di una danza ipnotica è Mandala, brano eseguito da una superba Sara Orselli, fedelissima e preziosa curatrice del repertorio della Carlson e assistente nell’insegnamento. Al centro della scena un alone di luce − il cerchio della calligrafia giapponese ensō, simbolo dell’universo e del gesto artistico perfetto −, che pian piano si espande attorno moltiplicandosi in piccoli cerchi − riferimento anche ai crop circles, figure geometriche circolari visibili dall’alto in alcuni campi di grano −. Dentro e fuori quel cerchio, lambendo i confini e rientrando al centro, l’interprete ruota su sé stessa mentre le braccia scivolano in tutte le direzioni. Sembrano involarsi, drizzarsi ondeggiando, fremere come radici all’insù, scendere come a incidere la terra, volteggiare come a inseguire, infine, un vento misterioso che spinge la vita in quel corpo.

Altro magnetico assolo quello di Céline Maufroid in Wind woman. Sulla musica originale di Nicolas de Zorzi, sembra trasportata dal respiro della natura attorno, da una brezza leggera poi impetuosa, offrendo il suo corpo all’ondeggiare e fluttuare nel vento, essere rapito dal suo vortice, sfidarlo, cedere alla sua carezza. I lunghi capelli e l’ampia gonna azzurra accompagnano il suo respiro interno prolungato sulle lunghe braccia che pennellano l’aria, che si aprono e chiudono come ali d’uccello, che inseguono il tempo e lo stringono. Bellissimo.