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In profondità > Chiesa

Papa Francesco e l’America Latina

di Ana Cristina Montoya

- Fonte: Città Nuova

Il pontificato di Francesco è stato una ventata di aria fresca nella Chiesa universale. Le sue radici latinoamericane non sono un semplice dato biografico, ma una chiave ermeneutica per comprendere la sua visione pastorale, la sua sensibilità sociale e il suo stile di leadership

Papa Francesco ha fatto del percorso di maturazione della Chiesa latino-americana un dono per la Chiesa universale: non si può comprendere il suo pontificato senza identificare la terra da cui trae nutrimento. Già nel 1955, nella prima conferenza dell’episcopato latino-americano a Rio de Janeiro, si riconosceva il contrasto tra la ricchezza naturale del continente e la vita precaria della sua gente. Lì, dalla Dottrina Sociale della Chiesa, si invocava un triplice compito di illuminazione, educazione e azione. L’invito alla Chiesa a porre la propria attenzione sulle persone e sulla società si condensa nella preferenza per i poveri invocata dalla Conferenza di Medellín del 1968.

Francesco ha partecipato alla quinta conferenza, quella di Aparecida 2007, e lì possiamo trovare la chiave di lettura del suo pontificato, secondo il metodo Vedere-Giudicare-Agire che prende come punto di partenza il lasciarsi interpellare dalla realtà, fa una lettura critica della globalizzazione come modello omogeneizzante, riafferma l’opzione per i poveri, la difesa del creato, il riconoscimento della saggezza dei popoli originari e l’attualizzazione della vocazione discepolare e missionaria; tutti elementi che saranno successivamente maturati e proposti alla Chiesa universale in Evangelii gaudium, Laudato si’, Querida Amazonia, Fratelli tutti.

Non è solo un dato geografico il fatto che Jorge Bergoglio sia arrivato a Roma dalla “fine del mondo”, si è trattato piuttosto di portare al centro della Chiesa le voci delle periferie, seminando domande scomode e sfidando certezze, decentrando strutture rigide e spostando l’asse verso una “teologia del popolo”.

I suoi 10i viaggi in America Latina (Brasile, Ecuador, Bolivia, Paraguay, Cuba, Messico, Colombia, Cile, Perù e Panama) sono stati una tribuna e una cassa di risonanza per reclamare una Chiesa più attiva e vicina, che non può voltare le spalle alla realtà. In ogni incontro ha privilegiato il contatto con i più vulnerabili, ha denunciato con coraggio la disuguaglianza, la corruzione e l’estrattivismo. Esempio della sua azione decisa sono state anche l’accettazione delle dimissioni in massa dei vescovi cileni dopo gli scandali per l’insabbiamento degli abusi, o lo scioglimento del movimento peruviano Sodalicio de Vida Cristiana. I Paesi latinoamericani sono stati anche scenario di mediazioni politiche, come l’impegno per riattivare le relazioni tra Stati Uniti e Cuba nel 2014.

Interpellato dall’incoerenza che rappresenta il fatto che la regione più cattolica del pianeta, che conta l’8% della popolazione mondiale, apporti il 30% delle morti violente, papa Francesco ha spronato con forza i cristiani a promuovere processi di riconciliazione e giustizia, e concludendo il suo viaggio in Colombia affermava che questa doveva diventare per sempre schiava della pace.

Al popolo latinoamericano resta ora la sfida di non guardare a Francesco come ad una figura eccezionale, ma come a un fratello che gli ricorda ciò che è sempre stato nel suo Dna: una fede incarnata, una preferenza per i poveri, una gioia che non teme il dolore, una speranza tessuta dal basso, essere “il continente della speranza”, e soprattutto essere un soggetto ecclesiale capace di offrire al mondo nuovi linguaggi di fede, nuove forme di essere Chiesa, una spiritualità profondamente umanizzante che pone al centro la cura dell’altro, la dignità di ogni essere umano, l’armonia con il creato, la pace come frutto della giustizia. Sfide che si condensano in quanto Francesco ha detto ai movimenti popolari a Santa Cruz de la Sierra (2015):

«Il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento. Io vi accompagno. E ciascuno, ripetiamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessun popolo senza sovranità, nessuna persona senza dignità, nessun bambino senza infanzia, nessun giovane senza opportunità, nessun anziano senza una venerabile vecchiaia. Proseguite nella vostra lotta e, per favore, abbiate molta cura della Madre Terra».

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