Le sfide ambientali e sociali del nostro tempo sembrano insormontabili. La crisi climatica, le disuguaglianze sociali, le guerre, la sofferenza diffusa: un quadro desolante che rischia di paralizzare ogni speranza. Eppure, al cuore di questa complessità, c’è un faro di luce che continua a brillare: l’amore. L’amore con la A maiuscola. Quell’amore che è vicinanza, tenerezza, dedizione, sacrificio, donazione gratuita.
Sarà davvero questa la chiave per affrontare le sfide del nostro tempo e costruire un futuro più giusto e sostenibile? Avrà la forza di rigenerare sia il pianeta che l’umanità?
Osservando la natura, scopriamo un esempio potente di amore in azione nel modello circolare che vi è insito, un sistema “senza scarto” dove tutto viene rimesso in circolo. Basti pensare al ciclo del carbonio o al ciclo dell’acqua. Non c’è spreco, ma un continuo dare e ricevere, un flusso incessante di vita che si rinnova, un ciclo di sacrificio e di rigenerazione, che non conosce scarti.
Sulla terra c’è sempre un movimento in cui si perde per dare. Il fiume si perde nel mare e nel farlo gli dà consistenza, lo fa essere mare, il mare perde parte di sé evaporando e fa essere le nubi. Le nubi precipitando acqua sul suolo e sul mare ripristinano le condizioni iniziali, cosicché, in modo stupefacente, la massa totale di acqua sulla terra rimane essenzialmente costante. Sembra che in natura chi si sacrifica, chi perde qualcosa di sé, lo faccia per “far essere l’altro”. Diremmo per “amore dell’altro”. Non c’è un sacrificio per se stesso.
Come afferma Chiara Lubich: «Sulla terra tutto è in relazione d’amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa».
Ma noi abbiamo gravemente compromesso questo equilibrio. Anche se la natura ha una straordinaria capacità di resilienza, le azioni umane hanno superato la capacità di rigenerazione del sistema.
Per ritornare all’esempio del ciclo dell’acqua, la deforestazione, l’urbanizzazione e le pratiche agricole non sostenibili hanno alterato il ciclo idrologico, portando la siccità in alcune aree e inondazioni in altre. Per non parlare dell’uso spropositato di combustibili fossili che ha causato l’effetto serra e il conseguente riscaldamento globale con un impatto significativo anche sul ciclo dell’acqua, oltre che su quello del carbonio. Impatti interconnessi che si amplificano a vicenda.
Nonostante ciò, il modello circolare della Terra continua a funzionare ma le azioni umane lo hanno reso, drammaticamente, inefficiente e instabile.
È vero che sono in corso dei tentativi per ridimensionare il modello economico lineare “prendi-usa-getta” a favore di un’economia circolare basata sul riciclo, ma sono sforzi circoscritti e frammentari. Anche se da tempo gli studiosi ci ammoniscono sulla gravità della crisi ecologica e ci invitano ad agire per riparare i danni, si stenta a dare il giusto peso al problema, mentre invece si consolida ‒ cito la Laudato si’ ‒ «un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità» (LS 59).
Forse questa conversione ecologica, personale e collettiva, richiede una comprensione più profonda delle radici della crisi stessa. Solo così potremo indirizzare le nostre energie verso soluzioni realmente efficaci. Quando papa Francesco parla della terra maltrattata dall’uomo con uno sfruttamento irresponsabile, la definisce una “sorella” sofferente evidenziando come questa sofferenza sia profondamente connessa al nostro egoismo, alla nostra incapacità di riconoscere l’interdipendenza tra tutti gli esseri viventi: «Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22)» (LS 2).
C’è quindi una profonda connessione tra l’egoismo umano e la sofferenza della natura, che ci richiama alla nostra responsabilità, quale parte integrante di questo ecosistema.
Allora cosa fare?
La preghiera “Signore dammi tutti i soli” , che è un dialogo intimo fra Chiara Lubich e Gesù Abbandonato, ci invita a un amore universale, che si estende a ogni creatura, a ogni sofferenza ed esprime come l’intera creazione chieda Amore. «Signore, dammi tutti i soli… Ho sentito nel mio cuore la passione che invade il tuo per tutto l’abbandono in cui nuota il mondo intero. Amo ogni essere ammalato e solo: anche le piante sofferenti mi fanno pena… anche gli animali soli. Chi consola il loro pianto? Chi compiange la loro morte lenta? E chi stringe al proprio cuore il cuore disperato? Dammi, mio Dio, d’esser nel mondo il sacramento tangibile del tuo Amore, del tuo essere Amore: d’esser le braccia tue che stringono a sé e consumano in amore tutta la solitudine del mondo».
Il contatto diretto con la sofferenza del mondo è un’esperienza che non ci lascia mai indifferenti. Abbiamo la possibilità di usare cuore, mente e mani per impegnarci a riparare il mondo ferito, sia nella sua dimensione umana che in quella ambientale.
Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari, in una recente intervista, spiega perché ha scelto proprio la prossimità come tema dell’anno per tutto il Movimento: «Mi sono chiesta in quale mondo viviamo. E mi sembra che in questo momento della storia ci sia tanta solitudine e tanta indifferenza. E poi c’è una escalation di violenza, di guerre che portano tanto dolore in tutto il mondo. Inoltre, ho pensato alla tecnologia che ci ha connesso in modi mai conosciuti prima, ma allo stesso tempo ci rende sempre più individualisti. In un mondo come questo penso che la prossimità possa essere un antidoto; un aiuto per superare questi ostacoli e curare questi “mali” che ci rendono distanti gli uni dagli altri».
Quindi la prossimità come antidoto. Sì, perché, forse, toccare con mano la sofferenza ci fa sperimentare la nostra fragilità, la fragilità altrui e quella del pianeta e ci allontana da quel desiderio di onnipotenza che genera così tanto dolore nel mondo. Con piccoli atti di vicinanza ciascuno di noi può raggiungere la sofferenza del pianeta e dell’umanità e andare oltre, con azioni capaci di rigenerare sia l’ambiente che le relazioni umane.
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