Con una maggioranza netta di voto il Parlamento europeo ha votato a favore della risoluzione che approva la relazione annuale sulla politica di sicurezza e difesa comune incentrata sul piano di ReArm Europe.
I numeri parlano chiaro (399 voti a favore, 198 contrari e 71 astensioni). Anche se il sistema di voto permette di distinguere il voto sui singoli emendamenti, ciò che conta è il voto finale sull’impianto generale della corposa relazione che riproduce l’orientamento espresso dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. La delegazione di Fratelli d’Italia si è astenuta, Lega ha votato contro, mentre Forza Italia ha seguito la linea dei Popolari europei che hanno introdotto e fatto approvare anche un emendamento in favore dell’uso delle mine antiuomo e le bombe a grappolo di fronte alla minaccia di aggressione della Russia.
Le delegazioni di Sinistra e M5S hanno votato “No” così come i deputati Verdi, in dissenso assieme agli spagnoli dal gruppo di appartenenza. Più complessa la situazione della delegazione del Pd che, alla fine, ha votato come il gruppo dei socialisti e democratici, a favore del documento finale con l’eccezione del No degli indipendenti Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Il resto dei deputati dem ha votato contro un singolo emendamento specifico di benvenuto al ReArm Eu, con l’eccezione di Gori, Gualmini e Picierno.
La componente italiana di ReNew (liberali) non ha eletti nel Parlamento europeo, ma il partito Azione di Carlo Calenda è molto presente sui media italiani nel sostenere convintamente il piano di riarmo europeo come espresso nel congresso nazionale promosso a Roma lo scorso 30 marzo con la partecipazione di Picierno e Gentiloni, dem critici verso la segreteria di Elly Schlein, e della presidente del Consiglio Meloni accompagnata dal ministro della Difesa, Crosetto.
Quel sabato di fine marzo 2025 ha reso palese le divisioni dell’idea di Europa che si sono riunite nella manifestazione promossa da Repubblica il 15 marzo in piazza del popolo sotto l’onda dello sdegno contro la nuova amministrazione statunitense di Donald Trump.
Mentre Calenda accusava di ambiguità il mondo pacifista, sempre a Roma si è svolto un incontro di riflessione promosso dalla Cgil sulla direzione da prendere di fronte al Re Arm Europe che non sembra avere ostacoli nel suo cammino, coinvolgendo pesantemente il mondo del lavoro con un processo di veloce conversione economica verso la produzione bellica.
Un confronto aperto con numerose associazioni, esponenti della cultura e della ricerca, tra i quali Giorgio Parisi, Nobel per la Fisica, che è intervenuto sulla necessità di fermare l’escalation delle armi nucleari. Tema tutt’altro che astratto come dimostra l’interesse europeo a dotarsi di tali strumenti di distruzione di massa a fini di deterrenza.
La relazione approvata dal Parlamento europeo è un documento complesso, che andrebbe conosciuto nei dettagli, nel dibattito pubblico. Contiene giudizi molto severi verso gli Usa di Trump, pur confermando la solidità dell’Alleanza atlantica sostenuta dalla difesa rafforzata dei Paesi dell’Unione Europea in sinergia con il Regno Unito nonostante la Brexit.
Contano poco, in effetti, i sondaggi secondo cui la maggioranza degli italiani sarebbe contro la politica di riarmo, senza una visione politica in grado di esprimerla in maniera coerente. Lo si è visto oltre 100 anni addietro con l’entrata in guerra nel 1915-18 anche con la forzatura del Parlamento e nonostante la refrattarietà popolare contro il rumoroso interventismo di pochi sostenuti dalla grande stampa.
Nello scenario odierno è significativa l’accusa di neutralismo rivolta da Antonio Polito verso il presidente di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi, che ha scritto una lettera a Repubblica riportando «un contributo di riflessione, frutto di un confronto interno al Movimento», di forte critica verso il piano di riarmo europeo deciso dai vertici dell’Ue affermando che «la condanna della Prima guerra mondiale come “inutile strage” da parte di papa Benedetto XV assume nuovo valore a fronte delle potenzialità distruttrici delle armi di oggi». Prosperi è stato nuovamente preso di mira, sempre sul Corriere, anche da Angelo Panebianco.
La lettera aperta del presidente della fraternità di CL parte dal fatto che «istituzioni, governi, soggetti sociali e culturali di ogni ordine e tipo, purtroppo anche alcuni esponenti della Chiesa, appaiono talvolta smarriti e contradditori nei loro giudizi (e nel manifestarli)».
Anche l’economista Zamagni ha ribadito in un’intervista ad Avvenire del 5 marzo che «il piano di riarmo presentato dall’Europa è un errore tragico dal punto di vista politico».
Il noto teologo Bruno Forte, vescovo di Chieti, in un editoriale su Avvenire, ha scritto che «appare in radicale contrasto con le radici morali dell’Europa unita il fatto che siano oggi i rappresentanti più alti della stessa Unione a invitare al riarmo: tutte le grandi voci che hanno dato spirito e corpo alla civiltà europea – da san Benedetto ai santi Cirillo e Metodio, da san Francesco d’Assisi ai “folli di Dio” della spiritualità russa – vanno in senso opposto a qualsivoglia progetto bellicista».
Allo stesso tempo, come si può riscontrare nelle interviste fatte a Stefano Ceccanti e Paolo Pombeni, una componente del cattolicesimo democratico appare la più convinta del piano di riarmo, come confermato con parole molto nette da Enrico Letta, ex segretario del Pd molto apprezzato dalla maggioranza von der Leyen.
Prendendo atto di questa divisione, lo storico Agostino Giovagnoli, sempre su Avvenire, invita i cattolici comunque schierati a dare prova del loro europeismo dato che «nel loro Dna è profondamente iscritto il senso dell’universalità e della fraternità che ha ispirato una costruzione sovranazionale, inedita e originale, finora unica al mondo». Secondo Giovagnoli, non si può perdere questo momento storico per indicare «una via per l’Europa più solida e decisamente migliore di quella interpretata oggi dalla Commissione von der Leyen». Senza troppi giri di parole «dovrebbe essere anche l’obiettivo della più volte auspicata “Camaldoli europea”».
Ma il riferimento al documento scritto nel monastero nascosto nella foresta del Casentino durante nel 1941-42 trovava la sua ragione nell’imminente fine del regime fascista in fase terminale, durante la guerra che aveva scatenato in maniera criminale con l’obbedienza rinnovata delle masse. Dobbiamo prendere atto che qualcosa sta crollando per poter ricostruire qualcosa di nuovo.
In questo scenario si erge una questione radicale posta da Severino Dianich: «Chi griderà contro la guerra?». Il noto teologo, nato a Fiume nel 1934, invita a prendere atto della situazione estrema di questo tempo in cui il mondo non ha bisogno di trattati teologici o di alcun documento, «ma di un grido forte e appassionato, come quelli dei profeti, che scuota le coscienze e risvegli il senso di responsabilità dei popoli, al di sopra delle decisioni dei loro governanti».
«Molto pesa – riconosce Dianich – sugli animi l’esperienza dei tanti appelli inascoltati, delle molte esortazioni cadute nel vuoto. Ma mai e in nessun caso un dovere viene meno solo perché si prevede che non porterà il suo frutto. “Non è un motivo – direbbe don Milani – per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima”».
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