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Cultura > Itinerari letterari

Dal seme alla pianta. Un “giardino felice”

di Oreste Paliotti

- Fonte: Città Nuova

Cruschiform e Laura Bianchi – una illustratrice e l’altra giardiniera, entrambe scrittrici – ci sorprendono con le loro appassionanti storie di botanica

Nei libri di Cruschiform, nome d’arte della scrittrice e illustratrice Marie-Laure Cruschi, testi e immagini dialogano con delicatezza e fantasia, offrendo al lettore nuove modalità per scrutare la variegata bellezza del mondo naturale. Terzo suo gioiello pubblicato presso L’ippocampo, L’odissea dei semi è un’opera divulgativa in cui sotto la parola “semi” – tiene a precisare l’autrice – sono raggruppati anche i frutti. Lo scopo: «condividere con i lettori la mia meraviglia di fronte all’ingegno della natura».

Perché l’“odissea” del titolo? «Da centinaia di milioni di anni, le piante mettono in atto astuti stratagemmi per permettere ai loro discendenti di emanciparsi e disperdersi. Nel corso delle generazioni hanno perfezionato il loro design, ottimizzato il rapporto tra forma e funzione e dato vita a una prodigiosa varietà di semi e frutti. Incapsulati in bacche succose, baccelli, gusci, o dotati di ingegnose escrescenze, i semi hanno colto ogni opportunità, associando molteplici tattiche per prolungare le loro formidabili epopee. Piccoli o grandi viaggiatori, a ognuno la propria odissea».

Così, ad esempio, il papavero, una volta appassito, lascia posto ad una capsula simile ad una saliera che sparge al vento un’infinità di piccole biglie azzurrognole. L’erba medica, invece, una volta maturi e staccati dalla pianta i minuscoli frutti a spirale, li lascia vagabondare per i campi al soffio del vento. Alla fine del viaggio, il veicolo si disgrega e abbandona i semi alla loro nuova esistenza. Partner privilegiato della maggior parte dei semi è il vento, ma alle volte non basta: i semi più grandi, come quelli del carpino bianco o dell’acero zuccherino, devono ingegnarsi per rimanere sospesi o per muoversi, muniti di alette, mantelle, alianti, carrozze o capsule volanti.

Dal ruscellamento causato dai temporali alle grandi correnti che scorrono negli oceani, l’acqua conduce alcuni semi verso territori lontani: è il caso della ninfea, del giglio di mare, dell’occhio di bue (un seme, questo, capace di allontanarsi dal suo luogo di origine per quasi 5 mila chilometri). Se poi d’estate la canicola e gli incendi sono nemici giurati della maggior parte delle piante, per qualcuna il forte caldo è sinonimo di voli tattici. Per esempio, il seme alato del pero legnoso, protetto dalla sua spessa tuta antincendio, approfitta perfino di un rogo per sgusciare via, cominciando una nuova odissea. E la banksia incendiaria dell’Australia, detta anche “pianta fenice”? Una volta passato l’incendio, apre le valve del suo frutto e manda a disperdersi i semi. L’arbusto parzialmente bruciato rinascerà presto dalle sue ceneri proprio come l’Araba Fenice, questo uccello mitologico.

Molti semi hanno stretto un patto con le formiche e in cambio di un servizio di trasporto offrono loro un dolcetto che assicura l’avvenire a tutta la colonia. Vale per tutti l’esempio del fiordaliso, detto per questo “pane delle formiche”. Altri come il sambuco, e la liana d’acqua, per lanciarsi alla ventura, approfittano – veri passeggeri clandestini – di partner pennuti o a quattro zampe (la magnolia, l’avena selvatica…). Altri ancora, poco temerari, si lasciano semplicemente cadere al suolo per poi rotolare: si regolano così l’ippocastano, l’avocado, la lenticchia… E non mancano semi che, finiti nel bagaglio di qualche viaggiatore, hanno fatto il giro del mondo, partecipando alla storia delle nostre civiltà. Si pensi al cacao, al fiore di cotone, al pepe nero, al caffè ecc.

Assieme a tanta varietà di forme e di soluzioni elargite da madre natura, s’impone la bellezza delle tavole illustrate da Cruschiform con la precisione degli antichi testi di botanica, ma con tocco moderno, luminose ed essenziali come i quadri di Hopper. E a proposito di colore, sentiamo come ne parla l’autrice: «Per me è una fonte di ispirazione, un supporto creativo ma anche un vettore di emozioni. Quando ho cominciato a chiedermi seriamente quale fosse l’origine di certe sfumature, del loro nome, o come venissero prodotte, ho realizzato che ogni colore poteva essere una vera e propria finestra aperta sul mondo. Mi ha sostenuta la sete di imparare cose nuove, la stessa che ho cercato di risvegliare nei lettori di qualunque età, attraverso una struttura semplice e facile da afferrare grazie ai sensi ma comunque in grado di produrre meraviglia».

Siamo in primavera, dai semi ormai sono spuntate le pianticelle, i rami degli alberi si costellano di fiori… ed ecco un’altra donna innamorata della natura, delle piante e del paesaggio: Laura Bianchi, giornalista di moda ed ora giardiniera, che dopo essersi diplomata alla Scuola Agraria di Monza, ha iniziato a scrivere di fioriture e piante “felici”, cioè il meno possibile condizionate dall’intervento umano. Da oltre dieci anni cura e convive con un giardino «saggio e selvaggio» nel Tigullio, la sua vera casa.

Seconda sua pubblicazione con la Libreria Editrice Fiorentina (LEF) è Giardino felice. Racconti di piante semplici, belle e buone. Così ce ne parla la Bianchi, autrice anche delle foto a corredo del volume: «Zappare e scrivere sono un po’ la stessa cosa. Si traccia un segno nella terra nuda o su un foglio bianco. Lo si fa per un bisogno, il bisogno di far germogliare. Cibo e parole. Questo libro raccoglie 10 anni di riflessioni su come un giardino possa ambire ad esser naturale, ma soprattutto dà voce alle piante con le quali condivido spazio e tempo. Ne racconta caratteri e umori, attraverso piccole e grandi storie di famiglia, non solo botanica. Ogni vegetale qui ha una vicenda da raccontare. E io le ho raccolte tutte, una alla volta, ogni settimana, stagione dopo stagione. Per un anno intero: la passiflora che mi impediva di vedere il mare; il rosmarino che è arrivato per primo; gli agrumi del tramando, giunti da lontano per restare; le verdure dell’orto diffuso, ma anche sambuco, borragine e aglio selvatico, grazie ai quali ho imparato a cucinare; gli ulivi che chiamo per nome e l’erba che corre e non vuole farsi addomesticare».

Commenta questa rassegna “verde” che abbraccia l’arco di un intero anno il titolare della LEF Giannozzo Pucci, una delle figure più rilevanti dell’ambientalismo italiano: «Scopo dell’industria non è produrre alimenti della più alta qualità per le persone di un territorio, ma vendere dei prodotti industriali. Invece in un giardino quasi ogni pianta può essere diversa e rivelare delle virtù sconosciute ai più e che si rivelano solo in particolari circostanze, come testimonia questo libro. I campi dei contadini, cioè dell’agricoltura artigiana, erano e sono dei giardini, che non producono solo cibo buono ma soprattutto felicità. Forse è venuto il tempo in cui si comincerà a tempestare le istituzioni per liberalizzare questo artigianato dei giardini perché siano fatte delle leggi semplici apposta per loro come attività economiche nobili non inquinanti e perciò libere e senza permessi».

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