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Spartizione territoriale dell’Ucraina: è questa la pace?

a cura di Chiara Andreola

- Fonte: Città Nuova

Il Movimento Nonviolento ha pubblicato una nota in cui individua cinque passi per una strategia nonviolenta contro la guerra

Un’immagine rilasciata dall’ufficio stampa dell’Unicef, Kiev, 12 maggio 2022. Foto: ANSA/US UNICEF

Il Movimento Nonviolento è stato molto attivo sulla vicenda ucraina sin dai suoi esordi; ed ora, dopo i rapidi sviluppi innescati dalla presidenza Trump – i colloqui con Putin, l’esclusione di Zelensky, la prospettiva che gli Stati Uniti offrano il proprio impegno a far cessare le ostilità in cambio dell’accesso alle terre rare dell’Ucraina – è tornato a farsi sentire. E senza usare mezze parole: nel testo diramato si afferma infatti che «ciò che sta avvenendo è la spartizione territoriale dell’Ucraina tra Russia e Stati Uniti, dopo tre anni di sanguinoso conflitto, un milione di morti, danni materiali ed economici incalcolabili, sofferenze ed impoverimento generale. La Russia otterrà l’espansione regionale in Crimea e Donbass, gli Stati Uniti metteranno le mani sulle “terre rare”, mentre l’Europa sta a guardare e l’Ucraina ne esce commissariata».

«Questo è il risultato della scelta militare fatta – prosegue il documento -, che ha trasformato l’intera Europa in una regione ad economia di guerra, a traino della Nato. La retorica del “prima la vittoria, poi la pace” si è rivelata per quello che era davvero: “prima la guerra, poi la sconfitta”. E a perderci, prima di tutti, è il popolo ucraino, che vede svanire la propria sovranità, dopo aver sacrificato un’intera generazione di giovani sull’altare del nazionalismo». Una situazione della quale è individuata come corresponsabile anche un’Europa divisa e indebolita.

Mentre i governi dei 27 si riuniscono per parlare di riarmo e misure di sicurezza intese in termini militari, il Movimento Nonviolento puntualizza che questa politica di riarmo è «la stessa che ha distrutto il sistema sociale della sanità e dell’istruzione nei nostri Paesi»; e definisce pertanto un “errore fatale” la scelta di percorrere di nuovo questa via, indicando invece «una politica comune di sicurezza, pace e cooperazione, non di una politica di potenza e difesa militare», con cui proporre «una propria visione democratica alternativa a quella oligarchica di Stati Uniti e autoritaria della Federazione Russa».

Vengono quindi individuati cinque punti di azione nell’ottica della costruzione di una vera pace:

Creare una “linea di pace” sui confini tra Europa e Russia (Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Ucraina) con l’istituzione di una zona smilitarizzata (cioè vietata alla presenza di qualunque esercito o struttura militare) di 500 chilometri di larghezza e 3000 chilometri di lunghezza, per favorire la distensione; e preceduta dallo sviluppo di meccanismi di verifica. Così, «anziché concentrarsi sulla militarizzazione nazionale, ci si concentra su una zona di demilitarizzazione internazionale, paneuropea, affidata a tutti i Paesi coinvolti».

Avviare immediatamente una moratoria nucleare che coinvolga i Paesi detentori di armi nucleari presenti sul continente europeo (Francia, Regno Unito, Russia, e Stati Uniti), impegnandoli a non utilizzarle, e ad aprire negoziati per l’adesione concordata e multilaterale al TPNW (Trattato per la messa al bando delle armi nucleari).

Avviare un progetto esecutivo per la costituzione di un Corpo civile di pace europeo, per la gestione non militare della crisi. Lo scopo è quello di intervenire a livello civile nei conflitti prima che questi sfocino in guerra. Questi Corpi di pace sarebbero costituiti e finanziati come una brigata permanente dell’Unione europea, la cui costituzione rientrerebbe direttamente nelle competenze della Commissione.

Dare la parola ai movimenti civili e democratici che in Russia, Ucraina e Bielorussia si sono opposti da subito alla guerra e hanno avanzato proposte di pace, a partire dal sostegno agli obiettori di coscienza, ai disertori e renitenti alla leva delle parti in conflitto. Convocare con loro, veri portatori di interessi comuni, un “tavolo delle trattative” in zona neutrale e simbolica (come Città del Vaticano).

Convocare una Conferenza internazionale di pace (sotto egida Onu, con tutti gli attori internazionali coinvolti e disponibili) basata sul rispetto del diritto internazionale vigente e sul concetto di sicurezza condivisa, che metta al sicuro la pace anche per il futuro.

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