«Come ti vedi tra 5 anni?». Questa domanda, spesso posta durante i colloqui di lavoro, non riguarda solo le aspirazioni professionali, ma anche quelle personali. Alla fine, parlare di futuro significa parlare di felicità, perché “come mi vedo tra 5 anni” è un modo per chiedersi: «Cosa devo fare da qui a cinque anni per essere felice?».
Per le generazioni più giovani, però, rispondere a questa domanda sta diventando sempre più difficile. Il mondo cambia rapidamente, è più globalizzato e incerto, con difficoltà crescenti nel mettere su famiglia o acquistare casa. Allo stesso tempo, le opportunità di esperienze, formazione, viaggio e auto-esplorazione si sono moltiplicate, e la narrazione mainstream di cui si nutrono i giovani è che ognuno potrebbe essere potenzialmente qualunque cosa.
«È difficile dire come mi vedo tra 5 anni – afferma Anna, 22 anni –. Forse riesco a dire come mi vedo tra due, ma penso che poi cambieranno i miei desideri e, a seconda delle opportunità che ci saranno ancora, andrò in una direzione o in un’altra».
La generale incertezza sul futuro, per alcuni, è una fonte di libertà, ma per la maggior parte della Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012 circa) è causa preoccupazione.
Secondo il report GWI 2024 sulla Gen Z, basato su ricerche di mercato globali con oltre 900mila intervistati, il 29% dei giovani dichiara di soffrire di ansia legata alle preoccupazioni per il cambiamento climatico, per il mercato del lavoro e all’esperienza traumatica del Covid-19.
In Italia, il report di Eures, CNG e AIG Giovani 2024: il bilancio di una generazione evidenzia la complessità della situazione. Da una parte, il livello di soddisfazione per la propria vita diminuisce sensibilmente con il crescere dell’età (il 60% della fascia d’età14-17 anni afferma di essere molto soddisfatto, ma solo il 45,1% della fascia 25-31 può affermare lo stesso), a conferma della complessità delle sfide che il passaggio all’età adulta richiede di affrontare. D’altra parte, i dati relativi all’Indice di salute mentale (SF36) mostrano che la fascia 15-24 anni è quella con maggiori criticità psichiche (ansia, depressione, perdita di controllo comportamentale ed emozionale, benessere psicologico), ma un peggioramento dell’indice c’è anche per gli infraquattordicenni e le donne dai 25-34 anni.
I giovani non sono un gruppo omogeneo e quindi hanno timori che spaziano su vari fronti. Ad esempio, la Gen Z secondo GWI 2024 è composta da studenti (45%), disoccupati o NEET (9%) e lavoratori o studenti-lavoratori (46%), di conseguenza è molto condizionata dalla precarietà lavorativa. In tutto il mondo, il mercato del lavoro sta diventando sempre più ibrido, flessibile e digitalizzato, con una crescente diffusione di lavori freelance e della gig economy. Questo nuovo scenario professionale richiede skill che vanno oltre i tradizionali percorsi di formazione e crea un ambiente in cui è più difficile trovare un equilibrio tra remunerazione economica e benessere psicologico.
I dati ISTAT evidenziano anche un altro aspetto cruciale: la gioventù italiana è una generazione che migra. In un paese con un tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) al 30%, dal 2011 al 2021, circa 300.000 giovani laureati (il 71% di tutti i giovani emigrati) hanno lasciato il paese. Ma questo è un indicatore ambivalente, perché migrare è sia una denuncia delle condizioni di vita nel luogo in cui si è nati, che una forte affermazione del proprio desiderio di felicità. È un sintomo di speranza, più che di preoccupazione.
Un altro aspetto da considerare è la genitorialità. Nel 2023, in Italia, le nascite sono state 379.890, con un calo del 3,4% rispetto al 2022 (ISTAT). Al di là dei dati, quando si parla di “metter su famiglia” a essere messe in gioco sono le aspirazioni più intime e esistenziali di ciascuno. «Fino adesso ho fatto tutte le esperienze che volevo fare – spiega Leticia, 25 anni –, ma ora sento che voglio una stabilità, e in particolare una famiglia, per non sentirmi sola. Una famiglia è la base, poi vorrei che fosse una famiglia che ha l’opportunità di vivere bene. E lì viene il difficile. Ma bisogna essere ottimisti».
L’ottimismo di molti giovani non è ingenuo, ma una forma di speranza che viene spesso accompagnata da un impegno attivo nella società. Sebbene la percezione comune è che le giovani generazioni sono apatiche o disinteressate ai temi civili e politici, esiste una parte della Gen Z che si impegna in prima persona per costruire un futuro più giusto. Ovvero, cerca di sanare questioni come la crisi climatica, la crisi della politica e la frattura, già evidente, tra le generazioni. Tra le varie declinazioni di interesse per la res publica, l’attivismo è quella che fa più clamore. Così, associazioni come Fridays for Future, Ultima Generazione e Extintion Rebellion mostrano, con più o meno forza, una generazione pronta a scendere in piazza pur di “non essere l’ultima” su un pianeta vivibile. Troverete approfondimenti su questi argomenti nel dossier Futuro allegato a questo numero di Città Nuova.
Le risposte a un futuro incerto sono quindi diverse e spesso contraddittorie: alcuni giovani si ripiegano sulla propria sfera privata, come risposta a un mondo incomprensibile, rifugiandosi nell’auto-protezione. Altri guardano oltre, cercando di fare sentire la propria voce. Il messaggio di Greta Thunberg, «Non sei mai troppo piccolo per fare la differenza», riassume il sentimento di quella parte della gioventù che non rimane paralizzata dalle preoccupazioni né si limita a sperare, ma agisce.
Come scrivono gli antropologi Arturo Escobar e Michail Osterweil e la microbiologa Kriti Sharma nel loro Relationality (Bloomsbury Publishing, 2024), «veniamo attivamente privati del futuro, perché mentre ci affrettiamo a mettere al sicuro i nostri futuri individuali e a breve termine all’interno di un sistema capitalistico, erodiamo la possibilità di un futuro a lungo termine per tutti». È proprio in risposta a questa contraddizione, e rimanendo in questo contrasto tra l’introspezione e l’impegno sociale, che le storie individuali dei giovani si intrecciano con le sfide globali. E la domanda «cosa voglio fare da grande», diventa «che mondo voglio costruire per me e per gli altri?».