Dirsi pacifista oggi è difficile. Evoca un termine che induce sospetto nonché facili classificazioni. Di solito, nei media, viene associato alla galassia dei gruppi di una sinistra estrema, divisa in mille sigle, con l’aggiunta di un terzomondismo cattolico disegnato come “utile idiota” di una strategia senza bussola, ma ancora in mano ai reduci del Pci che nel secondo dopoguerra seppe manovrare il movimento dei “partigiani della pace”.
In effetti ad un militante comunista, Tom Benettolo, è dedicato il portale web paceinmovimento.it lanciato a fine 2024 dal lavoro comune di Arci, Un Ponte Per e Sbilanciamoci! sostenuto dall’Istituto buddista italiano.
Solo che Benettolo è stato un personaggio fuori schema, accusato dai funzionari sovietici di essere, assieme a Luciana Castellina come racconta lei stessa, un’agente della Cia. Destino comune per chi si ribella alle presunte ortodossie. Prime del lungo impegno come presidente dell’Arci (federazione di circoli e case del popolo che raduna ad oggi un milione di iscritti), Benettolo è stato tra gli artefici del distacco berlingueriano dal Pcus facendo valere come elemento distintivo proprio la questione della ricerca della pace e del conseguente disarmo bilaterale. Morto improvvisamente a 53 anni nel 2014, amava citare l’esempio del lampadiere che procede nell’oscurità cercando di fare luce per gli altri.
Per capire meglio la proposta di paceinmovimento.it, abbiamo rivolto alcune domande al collettivo redazionale del portale che ci risponde tramite Alfio Nicotra di Un Ponte per.
Avete deciso di iniziare la ricostruzione storica del pacifismo in età moderna. Ma perché non avete dedicato un focus su Teodoro Edoardo Moneta, l’unico italiano finora ad aver ricevuto il Nobel per la pace nel 1907? Non è forse una figura emblematica in Italia, con il suo favore all’impresa libica e al primo conflitto mondiale, della tendenza di pacifisti che poi si convertono alle ragioni della guerra?
Siamo un portale “work in progress” e vogliamo che sia un lavoro partecipato da un collettivo sempre più largo di persone che scrivono, aggiungono ed espongono punti di vista diversi. Ci rendiamo conto che ci sono ancora moltissime lacune, per questo approfittiamo anche di questa intervista per chiedere la collaborazione di tutti/e. La storia del pacifismo è stata fatta e vissuta da milioni di persone, da collettivi, gruppi parrocchiali, partiti, associazioni… Scriviamola insieme questa storia, con ricordi, analisi, fotografie, filmati, manifesti e volantini delle varie fasi del movimento. Nel merito della domanda si è vero, la vicenda di Teodoro Edoardo Moneta merita di essere scritta, contestualizzata e analizzata. Non è il solo intellettuale pacifista sedotto in quell’epoca dall’avventura del colonialismo italiano. Si pensi solo a Giovanni Pascoli con la sua “la grande proletaria si è mossa”. Lo stesso Mussolini era contro la guerra di Libia ma poi imbracciò l’interventismo nella Prima Guerra Mondiale e fu espulso dal Partito Socialista Italiano. Meriterebbe, visto che si è celebrato nel 2024 il centenario del suo vile assassinio, ricordare l’obiettore di coscienza e pacifista Giacomo Matteotti, mandato in Sicilia, lontano dal fronte per evitare che “contagiasse” con le sue posizioni antiguerra i soldati. Ma il tema della conversione all’ideologia bellica che la domanda solleva è attualissimo.
Quali sono i segnali di questa conversione alla guerra?
Su scala europea con il risorgere dei nazionalismi e dopo la sconfitta della “Seconda potenza mondiale” che si concretizzò nelle piazze di tutto il pianeta il 15 febbraio 2003, oggi il movimento pacifista europeo sulla guerra russo-ucraina è fortemente diviso. È un tema che vorremmo sviluppare meglio, abbiamo bisogno di confrontarsi anche gli altri movimenti per la pace del nostro continente. A livello nazionale è vero che vi sono state, anche in tempi recenti, forze politiche che sono entrate in parlamento con una valanga di voti contro l’investimento nei caccia bombardieri F35 e vi sono uscite favorevoli al programma sugli F35. Poi si pone l’annosa questione dei rapporti di forza e della realpolitik.
Ad esempio?
Il secondo governo Prodi nel 2006 ritirò le truppe militari dall’Iraq ma le mantenne in Afghanistan. Era giusto valorizzare il risultato ottenuto o mettere in evidenza l’elemento di continuità con la politica bellicista? Come sapete su questo punto si lacerò il rapporto tra sinistra radicale e il suo elettorato.
Sempre in tema di conversione è in programma, sul portale, un approfondimento su questo tema prendendo ad esempio la storia dei radicali o quella significativa di Adriano Sofri?
La storia dei radicali e di Sofri sono due vicende in parte collegate e in parte diverse. Il partito Radicale sicuramente ebbe nella prima fase, fondò la Lega per il Disarmo Unilaterale con Carlo Cassola, una posizione antimilitarista e per questa via in forte polemica con il Pci accusato, per esempio, di votare sempre in commissione Difesa per le spese militari ed in particolare quelle che finanziavano il complesso bellico/industriale nelle cui fabbriche il Pci aveva un forte radicamento. Questa posizione venne sostenuta fino alla manifestazione del 24 ottobre 1981 contro l’installazione dei missili a Comiso (i radicali figuravano tra le forze promotrici) ma venne rapidamente dismessa con l’avvicinamento del PR al Psi di Craxi e Lagorio (quest’ultimo ministro della difesa dell’installazione dei missili). I radicali non parteciparono né ai blocchi nonviolenti davanti all’aeroporto Magliocco di Comiso né alla seconda grande manifestazione contro gli euromissili del 22 ottobre 1983. Si sposteranno sempre di più su posizioni atlantiste.
E Sofri?
Adriano Sofri, sia pur da posizione più defilata (Lotta Continua era stata sciolta nel 1977) sostenne la lotta contro gli euromissili, la sua conversione alla giustezza dell’intervento armato è semmai databile alle guerre scoppiate con la deflagrazione della ex Jugoslavia. Il movimento pacifista scelse di rifondarsi schierandosi con le vittime delle guerre indipendentemente dall’etnie e religioni praticate cercando di mantenere ponti tra i popoli. Sofri ed altri intellettuali chiesero invece l’intervento della Nato.
Colpisce il fatto che la presentazione pubblica del portale alla sala stampa della Camera sia avvenuta nei giorni della caduta del regime siriano di Assad, che rimanda ad un conflitto davanti al quale si è registrata una spaccatura di posizioni tra i pacifisti. Cosa è accaduto e perché?
La storia va avanti e, come dice una celebre canzone di Francesco De Gregori, “non ha nascondigli”. L’impostazione “campista” che sta dietro una lettura tutta geopolitica dello scontro in atto nella “guerra mondiale a pezzi” portava a sostenere Assad contro l’imperialismo occidentale e a chiudere gli occhi sulle atrocità del regime. Chi lavorava con la popolazione siriana, come Un Ponte Per, denunciava da sempre la spietatezza di quel regime, il massacro dei civili con i barili bomba lanciati sulle città, la cancellazione delle aspirazioni democratiche della Primavera siriana e il fatto che quelle politiche repressive erano uno straordinario combustibile per l’Isis e le formazioni jihadiste. Quel regime, pur puntellato dall’Iran e la Russia, è crollato in pochi giorni. Abbiamo salutato positivamente la liberazione dalle prigioni dei detenuti politici tra cui tantissime donne e bambini. Adesso siamo con il fiato sospeso sperando che ci sia una transizione vera verso la riconciliazione nazionale della Siria e la fine della guerra e dell’odio settario. Lavoreremo con (e daremo voce) alla società civile siriana a partire da quella del Rojava dove è in corso da anni una sperimentazione democratica, laica, plurietenica, femminista e ambientalista.
Anche in alcuni convegni pubblici si parla ormai del pacifismo come di una storia passata, decretandone la fine nel fallimento del movimento mondiale del 2003. Quelle manifestazioni popolari in Italia non erano forse in Italia l’ultima traccia della presenza di un forte partito comunista dai toni messianici? Anche oggi i grandi eventi sul tema non sono possibili grazie alla Cgil?
Il “prima di tutto la pace” di Enrico Berlinguer fu sicuramente un posizionamento importante del più grande partito comunista dell’occidente, ma sarebbe un errore non vedere la componente internazionale con cui quel movimento negli anni ottanta si sviluppò in tutta Europa. E non erano solo i comunisti e la nuova sinistra ad animare il Coordinamento dei Comitati per la Pace ma fu un movimento di popolo e un contributo fondamentale venne anche dal mondo dei credenti cristiani, cattolici in buona parte, ma un ruolo significativo lo ebbero anche i valdesi in Italia o il movimento dei Quaccheri in Gran Bretagna. Nel carteggio tra Berlinguer e il vescovo d’Ivrea (poi presidente di Pax Christi) mons. Bettazzi lo stesso concetto della pace e di salvaguardia del pianeta (o del creato) acquisiva una consapevolezza nuova. Il movimento del 2003 era invece figlio del “movimento dei movimenti” nato a Seattle , rafforzato a Porto Alegre, passato da Genova e dai forum sociali mondiali e continentali. La Cgil nel suo insieme venne trascinata da questa forza (la Fiom – metalmeccanici- invece vi aderì da subito) per cui sicuramente gli iscritti al sindacato parteciparono ma non fu quello il tratto distintivo di quella mobilitazione. Ai giorni d’oggi la Cgil è l’ultima delle organizzazioni di massa ancora esistenti e sta dando il proprio contributo alla mobilitazione, alternando prese di posizioni coraggiose ad altre più timide.
Perché oggi in Europa solo in Italia sembra resistere una forma di movimento contro la guerra?
In Europa, ma anche negli Usa e in altre parti del pianeta, vi sono state manifestazioni e mobilitazioni enormi contro la guerra a Gaza e in Palestina, anche con la partecipazione d’importanti settori, specialmente tra i giovani, delle comunità ebraiche. In Italia, pur essendoci una mobilitazione diffusa in università, scuole, parrocchie, territori, non c’è stata ancora una manifestazione nazionale di dimensioni adeguate alla tragedia in corso. Nel portale accenniamo ai limiti di questa incapacità di mettere in campo tutte le forze che sarebbero necessarie e di una dinamica da un lato settaria, dall’altro troppo pavida, che impedisce il dispiegamento di un vero movimento di popolo. Sull’Ucraina, come abbiamo già risposto, pesa la sconfitta del 2003 e il fatto che il movimento per la pace in Europa è diviso.
La guerra in Ucraina, in effetti, ha reso evidente una lacerazione risalente alla fine tragica di Alex Langer, sul dilemma del diritto di difesa che si pone anche nella guerra infinita in quella che ostiniamo a definire Terra Santa. Non è questa contraddizione a minare alle fondamenta il movimento per la pace definito sbrigativamente come pacifismo imbelle davanti ai violenti?
L’accusa più infamante rivolta al pacifismo è la supposta pretesa di chiedere all’Ucraina di arrendersi agli invasori. Ma nessuno, nel movimento pacifista che organizza carovane nei luoghi della guerra, mette in discussione il diritto di difesa di un Paese sovrano aggredito e invaso stabilito dall’art.51 della Carta delle Nazioni Unite.
Ma i pacifisti l’art.51 se lo sono letti per intero e ricordano come dopo il diritto all’autodifesa vi è un “fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”. Quel fintantoché può essere sostanziato solo da un negoziato, dalla diplomazia, da una conferenza di pace. Insomma dalla politica. Che invece preferisce ecclissarsi per far parlare la forza muscolare degli eserciti e delle armi. Nel capitolo “L’Italia ripudia la pace” scriviamo:
“Ma se il pacifismo è velleitario, ininfluente, poca cosa, perché sempre è subito attaccato, censurato, oscurato e denigrato? E non solo dai guerrafondai più incalliti e di professione. Ma la pace, il pensiero critico, il no alla guerra non dovrebbero essere il perno dei valori occidentali? Per di più che tutte le guerre combattute nei quattro decenni precedenti – Iraq, Afghanistan, Libia ecc. – si siano risolte in un fallimento e abbiano portato a maggiore insicurezza nel pianeta, non sono servite come lezione?”
Come rispondete a chi dice che il pacifismo è un lusso reso possibile dal sacrificio di milioni di persone che hanno fermato il nazifascismo con la forza delle armi? Se è stato necessario muovere la guerra contro Hitler perché negarlo adesso davanti ai crimini intollerabili?
Chi andò a combattere sulle montagne lo fece anche per evitare alla future generazioni, come recita il preambolo dell’Onu, “il flagello della guerra”. Furono i partigiani e le partigiane (e tra le storie ricordiamo l’impegno di Lidia Menapace) a voler scritto con il fuoco quella parola “ripudia” nell’art.11 della Costituzione. Ripudia non significa solo rifiuta, significa rompere un legame di sangue, che si vorrebbe inscindibile e impossibile da derogare. Il “mai più alla guerra” che le femministe hanno ribattezzato con lo slogan “fuori la guerra dalla storia” è l’essenza stessa del pacifismo contemporaneo. Abbiamo visto scomodare Hitler in troppi conflitti: Saddam, Milosevic, Gheddafi definiti come “ i nuovi Hitler”. La verità è che non c’è niente che giustifichi la guerra e da quando, nel 1991, è tornata a dettare legge, il pianeta è precipitato verso il baratro. Il militarismo palesa ogni giorno il suo fallimento, rende sempre più insicuro il mondo. Solo la pace è un buon investimento. Per questo pensiamo che sia utile dare forma e parole ad un pensiero che rappresenta un’ancora di salvataggio ed una speranza per l’intera umanità.