È tratta dal romanzo omonimo di Anthony Doerr – vincitore del Premio Pulitzer – ed è composta da quattro episodi piuttosto lunghi, di circa un’ora l’uno, tutti visivamente pregevoli e in generale intensi e scorrevoli. Ci portano nella Seconda guerra mondiale attraverso una manciata di personaggi: il primo è quello di Marie-Laure LeBlanc (l’esordiente e brava Aria Mia Loberti), una ragazza francese non vedente che con coraggio e passione fa da contraltare, da opposizione, alla violenza e alla distruzione della guerra, ben comprese le atrocità del nazismo.
Con lei c’è suo padre Daniel (Mark Ruffalo), che lavora come curatore presso il museo di Storia naturale a Parigi. È colto, sensibile ed ama profondamente sua figlia: per lei costruisce, prima nella Parigi da cui fuggono con una pietra preziosa che non vogliono far cadere nelle mani dei nazisti, e poi nella cittadina di Saint-Malo, delle miniature in legno della città. In questo modo Marie-Laurie potrà imparare a percorrere le strade in autonomia: un modo per vivere appieno la sua vita. È un gesto di bellezza, quello di Daniel, a cui se ne accompagnano altri che attutiscono il rumore delle bombe nel racconto.
Nella seconda città abita anche lo zio di Marie-Laure, interpretato da Hugh Laurie (il vecchio, mitico Dr. House) che è stato un veterano della Prima guerra mondiale (non senza riportare traumi interiori profondi) e ora lavora per la resistenza. È tramite lui che la giovane lancia messaggi in codice da una radio clandestina nella soffitta di una casa, ed è sempre la radio che la porta ad incrociare il suo destino con quello di un giovane soldato tedesco: Werner, cresciuto orfano e costretto a forza dal regime ad arruolarsi per le sue qualità intellettive, soprattutto per la sua capacità di saper intercettare trasmissioni radiofoniche illegali.

Tutta la luce che non vediamo. Aria Mia Loberti nel ruolo di Marie-Laure. Cr. Katalin Vermes/Netflix © 2023
Eppure il ragazzo condivide con Marie-Laurie qualcosa del passato che li lega, nonché una profonda idea di pace e di umanità, di libertà e appunto bellezza. Insieme, con le loro affinità, fanno entrare luce in questa finestra cupa della Storia, più precisamente nella Francia occupata dai nazisti e bombardata dagli americani, anche se il racconto si muove avanti e indietro con continui salti temporali, su una linea che dura diversi anni e, oltre a offrire informazioni sulla vita dei personaggi, conferisce prezioso movimento ad un racconto con inevitabili momenti forti ed altri più tenui e sentimentali.
Il dramma, in questa serie creata da Shawn Levy e Steven Knight è intriso di mélo e di manicheismi vistosi: il bene e il male sono netti, nitidamente separati; il secondo incarnato, oltreché dalla guerra stessa e dal nazismo, da un capitano del regime bramoso di mettere le mani sul gioiello custodito da Daniel e Marie-Laurie. Tutta la luce che non vediamo si regge sull’energia vitale dei quattro protagonisti, sulla loro positività senza se e senza ma, sul loro essere portatori di speranza, di resilienza e di quella luce che passa per la cura delle relazioni umane, per una coscienza di pace e di futuro, per la capacità di opporsi al buio. Le loro virtù sono sparse dentro una confezione impeccabile con qualche momento inevitabilmente forte: di violenza, di dolore e azione.

Tutta la luce che non vediamo. (Da sinistra a destra) Nell Sutton nel ruolo della giovane Marie-Laure, Mark Ruffalo nel ruolo di Daniel LeBlanc. Cr. Atsushi Nishijima/Netflix © 2023
Alla serie manca però un po’ di stratificazione nei caratteri, quella tridimensionalità umana che conferisce più valore alla suspence e ai buoni contenuti. Gli accadimenti, il cosa, hanno la precedenza sull’interiorità complessa dei personaggi, sul come, anche se non mancano dialoghi riusciti e passaggi qua e là emozionanti. Senza dimenticare l’importanza dei temi lanciati. Tra questi, vistoso ma al tempo stesso tenue, non dominante, il non fermarsi della protagonista davanti alle difficoltà della disabilità.
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