Le tre domande sottotraccia di una guerra sporca

La deflagrazione di odio, prima che di missili e di bombe, dice che la lotta tra Israele e Hamas ha qualcosa di già visto ma anche di inedito. L’odio è duro a morire

La tragedia che è scoppiata tra Israele e Hamas (tra parentesi, è giusto che l’ennesimo capitolo della polveriera mediorientale non venga definito conflitto israelo-palestinese) ha qualcosa di indicibile. La guerra è menzogna, e di menzogne se ne stanno udendo molte, mentre le certezze sono poche. Ma drammatiche. A cominciare dalla contabilità dei morti, dei feriti e degli ostaggi, senza considerare milioni di persone che vivono nel terrore. La sofferenza è indicibile, soprattutto quella degli innocenti, e di questo sono responsabili coloro che in questo momento lavorano per incrementare l’odio. Sì, questa volta è Hamas che ha seminato terrore per prima, non è scusabile, c’è solo violenza e prevaricazione in quel che ha fatto, nonostante la storia gravida di lutti e soprusi subiti.
Bisogna ora mettersi dalla parte delle vittime – questa è la sola verità nella lettura dell’ennesima recrudescenza di un conflitto che non è mai finito –, dalla parte dei morti e dei feriti di Sderot, così come dei morti e dei feriti di Gaza City, di tutti coloro che stanno ingiustamente soffrendo dell’attuale esplosione di violenza. Dalla parte degli ostaggi, degli anziani e dei disabili che non possono ripararsi dalle bombe, dei bambini che capiscono che i botti che odono non sono quelli della festa.
Le domande rimaste senza risposta sono tante, ma tre mi sembrano ineludibili. Prima domanda: i miliziani di Hamas e chi lo finanzia sanno di avere sulla coscienza il dolore incalcolabile di milioni di persone? Mi si dirà: in guerra bisogna cercare di vincere a tutti i costi. La lista degli atti di ingiustizia subìti dai palestinesi si allunga dal 1948, ma Hamas ha mai avuto una vera volontà di pace? C’è da dubitarne. Il silenzio di quest’ultimo anno non era resipiscenza, ma un modo per preparare l’assalto che i suoi dirigenti speravano finale. Credo si sbaglino.
Seconda domanda: per quanti sforzi possano essere fatti per giustificare i servizi segreti israeliani, non si riesce ad immaginare che la migliore intelligence al mondo si sia fatta cogliere di sorpresa. Inimmaginabile. I preparativi di un attacco come quello visto in queste ultime 48 ore non poteva non essere visto da satelliti che hanno la capacità di scorgere un pacchetto di sigarette gettato per terra. Gaza è chiusa, come una prigione, da dove sono arrivate le migliaia di missili che hanno colpito Israele? Lo scudo di protezione contro gli attacchi dalla Striscia è improvvisamente diventato un colabrodo? Si parla delle divisioni politiche israeliane: ma si sa bene come esercito e intelligence di Israele siano un fatto a parte dalle beghe partitiche. Perché è successo tutto ciò?
Terza domanda, anche questa senza risposta: cosa farà l’Iran, principale sponsor di Hamas? E cosa farà il mondo arabo, in primis quell’Arabia Saudita che stava per concludere il riavvicinamento a Israele? Al di là, poi, delle condanne di facciata, cosa faranno i tre o quattro grandi di questo mondo? La geopolitica si interroga, qualcosa potrebbe mutare dopo una guerra che si annuncia lunga, lunghissima: la crisi, infatti, non potrà finire presto, semplicemente per l’enorme numero di ostaggi che in queste ore vengono fatti da parte di Hamas – facile prevedere che diventeranno scudi umani a Gaza contro attacchi dall’aria –, e del numero notevole di prigionieri che l’esercito israeliano sta facendo da parte sua.
Non bastava la guerra in Ucraina, e quella di Siria che continua a mietere centinaia di vittime ogni giorno anche se non lo sappiamo, non bastavano le situazioni estreme in numerose lande africane, il Sahel in primo luogo, non bastavano nemmeno le altre 30 o 40 guerre dimenticate, più o meno locali, e le tensioni da far tremare i polsi attorno a Taiwan? Non bastavano. Ora, quella che qualcuno ha definito “la madre di tutte le guerre”, cioè l’interminabile conflitto israelo-palestinese, ha voluto tornare in prima pagina. Ma quel che più appare grave è che il cuore di milioni di persone è stato sedotto dall’odio, come dice il politico della pace, Massimo Toschi. Bisogna denunciare a chiare lettere chi ha fatto di tale odio la propria arma e il proprio orizzonte. I cristiani devono tornare alla purezza del loro Cristo, che non aveva paura nel denunciare chi seminava odio e definiva “beati” gli artigiani di pace. Non solo in questa guerra, ma in tutte le guerre, nessuna esclusa, Ucraina compresa. L’unico modo di far vincere la pace è estirpare l’odio dal cuore della gente.
Margaret Karram, che come si sa è palestinese, cattolica e di passaporto israeliano, ha scritto ai suoi amici, col cuore in mano: «È con profonda fede che, insieme a tutto il Movimento dei Focolari, mi unisco all’appello di papa Francesco, a quello del patriarcato latino di Gerusalemme, alle parole di pace di responsabili delle diverse Chiese cristiane e dei leader delle religioni – in particolare della regione israelo-palestinese – nel chiedere che si fermino le armi e si comprenda che, come ha detto papa Francesco all’Angelus di oggi, “il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma ogni guerra è una sconfitta”». Perseverando nella ricerca del rispetto dei diritti umani della giustizia, del dialogo e della riconciliazione.

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