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L’assurdo caso di doping in India

di Noemi Di Benedetto

- Fonte: Città Nuova

C’è uno sport che aspettiamo, che vogliamo, e uno che non ci meritiamo e che non vogliamo. L’assurdo caso di doping ai Campionati di atletica in India, fa parte della seconda categoria

Ha davvero dell’incredibile la vicenda che ha visto protagonista il Campionato federale di Atletica di Delhi, svoltosi dal 23 al 26 settembre scorsi dove si sarebbe registrata la più grande fuga di atleti della storia dello sport. Il motivo? I controlli antidoping.

Il doping nasce insieme allo sport e, dalla sua nascita, è sempre stato combattuto. Basti pensare che fin dalle prime Olimpiadi del 1776 a.C. nell’antica Grecia, gli atleti che facevano uso di erbe e infusi considerati dopanti, venivano esclusi dai Giochi e giustiziati. Nel tempo la lotta al doping è continuata, ma è solo negli ultimi sessant’anni che sono nate delle agenzie preposte alla lotta contro il doping nelle varie competizioni sia in campo nazionale che internazionale. E sono queste agenzie che hanno provocato la fuga di oltre metà degli atleti coinvolti ai campionati di Atletica di Dehli, in India.

Tantissimi atleti, infatti, durante l’ultimo giorno di competizioni, avrebbero lasciato il campionato per via della paura dei controlli antidoping intervenuti a seguito di alcune riprese a dir poco scioccanti, in cui si vedeva un bagno dello stadio Jawaharlal Nehru di Dehli pieno zeppo di siringhe di Eritropoietina (EPO). Sandeep Mehta, il segretario della Delhi Athletics Association, racconta come i controlli fossero stati richiesti proprio a seguito della diffusione del video diventato poi virale, durante il secondo giorno di competizioni. «Avevamo scritto alla NADA il secondo giorno della competizione chiedendo loro di venire per i test», le sue parole durante l’ultimo giorno di campionato.

A seguito della richiesta di controlli da parte delle associazioni, ben 26 medici si sono presentati allo Jawaharlal Nehru di Dehli per dei controlli a sorpresa durante le gare del 26 settembre. Pochi di loro, però, hanno potuto lavorare. Oltre il 50% degli atleti, infatti, si sarebbe ritirato dalle competizioni della giornata alla vista dei medici accusando dolori muscolari e scuse di ogni tipo pur di non sottoporsi ai controlli. Oltre a chi ha deciso di ritirarsi dalle competizioni, qualcuno ha deciso addirittura di disertare la cerimonia di premiazione e ha preferito non ritirare la medaglia pur di evitare che venisse loro richiesto un campione di urina. Ma, se molti agenti sono purtroppo rimasti con le mani in mano, qualcuno ha fatto di tutto per poter svolgere il proprio lavoro: è il caso di uno dei medici che ha dovuto rincorrere un’atleta per poterla sottoporre ai test. «Nella corsa a ostacoli junior, una ragazza ha continuato a correre anche dopo aver tagliato il traguardo. Un agente del controllo antidoping ha dovuto inseguirla per ottenere il suo campione», la testimonianza di un allenatore senior all’Indian Express. Ciò che preoccupa, tra l’altro, è il fatto che si parla di atleti giovanissimi, alcuni, addirittura, sotto i 16 anni. Una situazione a dir poco preoccupante e assolutamente fuori controllo in India – il secondo Paese dopo la Russia con il più alto tasso di violazioni alle norme contro il doping secondo un rapporto dell’Agenzia mondiale antidoping pubblicato nello scorso maggio – come ricorda il presidente della Delhi State Athletics Association, Sunny Joshua, che ha ribadito come lui e gli altri organizzatori non potessero fare molto: «Il nostro compito è educare gli atleti e gli allenatori, ma non possiamo monitorare costantemente cosa stanno facendo durante gli allenamenti o alle nostre spalle. Il doping nell’atletica è una minaccia enorme e siamo fermamente contrari». Nonostante l’impossibilità di monitorare costantemente gli atleti, però, gli organizzatori sembrano sicuri delle conseguenze che verranno prese. «Ci sono anche alcuni lanciatori che sono scomparsi prima della competizione e tutti avrebbero dovuto essere testati dalla NADA − ha affermato Sandeep Metha −. Stiamo condividendo con loro i dettagli degli atleti che sono fuggiti. Se qualcuno di loro sarà testato positivo, lo bandiremo a Delhi e raccomanderemo alla Federazione indiana di atletica leggera di fare lo stesso».

La faccia pulita di uno sport sporco

In tutta questa sporca faccenda, il ventenne indiano Lalit Kumar si è distinto. Tutti e 7 i suoi avversari si sono improvvisamente ritirati dalla gara durante la finale dei 100 metri maschili disputatasi nello stadio della capitale indiana, adducendo come motivazioni crampi o problemi muscolari dell’ultimo minuto e lasciando il giovane atleta da solo a correre la finale. Naturalmente, ben altra sembrerebbe la verità secondo gli organizzatori che sospettano che gli atleti si siano dati alla macchia dopo aver saputo dell’imminente arrivo di funzionari dell’agenzia antidoping indiana, la NADA.

«Un solo ritiro strano è comprensibile, ma quando sette corridori si ritirano, sai che c’è qualcosa di sospetto», ha detto Sandeep Mehta alla Reuters.  E se anche molti atleti di altri eventi del meeting non si erano presentati alla loro competizione, il caso dei 100 metri sarebbe stato unico perché nessuna delle altre gare aveva avuto un solo partecipante.

Lalit, alla sua prima esperienza nella categoria senior e – visto il suo personale – lo sfavorito assoluto della gara, non aveva idea che sarebbe stato l’unico a scendere in pista e pensava di non avere alcuna speranza in finale come aveva detto anche al padre la sera prima della gara.

È stato solo al suo arrivo nello stadio che ha capito che avrebbe corso da solo: «Avevo sentito che la NADA sarebbe venuta a testare gli atleti, ma non era mai successo prima e quindi non ci ho pensato troppo. Ma la mattina ho visto i loro ufficiali e mi sono reso conto che non c’era nessuno dei miei avversari». Il fatto di correre da solo, oltre all’evidenza di farlo vincere, ha però inevitabilmente inciso sulla sua prova, visto che Lalit ha corso in uno dei tempi più lenti della sua carriera: 11,6 secondi. Come spiegato dallo stesso atleta: «È strano correre da solo. Non senti alcuna pressione. Non sai nemmeno quanto velocemente stai andando».

La corsa solitaria e pulita, benché “lenta” di Kumar lo ha comunque fatto diventare un eroe sui social, dove è stato acclamato come un “atleta onesto in uno sport sporco” e per questo la Federatletica di Delhi ha dichiarato di aver deciso di assegnare a Kumar una medaglia anche se era l’unico corridore nella finale e il regolamento non lo prevede per gare con meno di tre partecipanti. Una nota positiva, un barlume di speranza arriva quindi dalla faccia pulita di un ragazzo che ci permette di credere ancora che il vero sport, quello che ci meritiamo, esiste.

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