Trump, i dazi e le catene globali di valore

I dazi, un attrezzo quasi dimenticato della cassetta degli strumenti di politica economica, è stato sorprendentemente riportato in auge dal presidente degli Usa, Donald Trump. Sulle ragioni di questa scelta e sui possibili effetti locali ed internazionali, abbiamo dialogato con Gianluca Toschi, ricercatore senior alla Fondazione Nord Est e docente di economia internazionale all’Università di Padova, esperto delle catene globali di valore.
Prima di tutto cerchiamo di spiegare cosa sono i dazi, e perché storicamente sono stati applicati.
Come apprendono gli studenti del corso di Economia Internazionale, il dazio è una tassa sui prodotti importati che grava sui consumatori. Con questo strumento si punta, ad esempio, a proteggere e favorire i prodotti nazionali. Potrebbe essere il caso di un’industria nascente che ha bisogno di un certo lasso di tempo per diventare competitiva rispetto ad industrie estere già affermate. Ma la teoria economica dimostra che esistono strumenti di politica economica decisamente più efficaci per raggiungere tali obiettivi senza scomodare i dazi.
Questo ragionamento sembrerebbe legarsi allo slogan M.A.G.A. (Make America Great Again), ovvero di riportare in casa le produzioni delocalizzate, per re-industrializzare quegli Stati dove vivono i bianchi impoveriti dalla globalizzazione.
Certamente Trump sembra sposare l’idea che attraverso una politica commerciale aggressiva si possa sostenere l’occupazione interna. Non a caso il calcolo dei cosiddetti “dazi reciproci” si basa sui deficit commerciali degli Stati Uniti rispetto agli altri Paesi. Ma ripeto ancora una volta, non si sta utilizzando lo strumento più efficace per risolvere il problema.
Come stiamo vedendo, però, questa scelta ha degli effetti collaterali piuttosto pesanti.
Infatti l’uso dei dazi espone il Paese che li introduce al rischio di ritorsioni da parte dei Paesi colpiti, con il rischio di innescare vere e proprie “guerre commerciali” che danneggiano tutti gli attori coinvolti. In generale il dazio diminuisce il benessere a livello mondiale ma, salvo poche eccezioni, anche quello dello Stato che lo introduce.
E infatti storicamente i dazi sono stati abbandonati per adottare misure protettive meno invasive…
L’uso dei dazi è andato via via riducendosi nel tempo grazie ad accordi multilaterali fra i Paesi come il Gatt (l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio) e successivamente l’Organizzazione Mondiale del Commercio. In questo contesto i Paesi hanno utilizzato mezzi più “discreti” – come le normative tecniche – per proteggere le proprie industrie. Un esempio di normative tecniche sono le regole sanitarie per proteggere il settore agroalimentare europeo (divieto di estrogeni usati nei bovini americani). Norme che in alcuni casi possono essere disegnate per proteggere l’industria di un Paese, e non solamente per tutelare la salute e la sicurezza dei consumatori.
Ma se i dazi fanno stare peggio tutti i Paesi, come mai Trump li ha riportati al centro della propria politica economica?
Una possibile spiegazione sta nell’uso strategico che il presidente americano ne sta facendo. Minacciare l’imposizione di dazi sulle importazioni di un Paese potrebbe costringere il Paese minacciato a fare delle concessioni. E il tira e molla al quale stiamo assistendo in queste settimane sembrerebbe dimostrarlo. Per sapere se Trump sta bluffando e se la sua strategia risulterà vincente dovremo attendere.
Da molte parti si osserva che le mosse di Trump starebbero mettendo fine alla cosiddetta globalizzazione, è così?
Non parlerei di fine della globalizzazione, ma piuttosto di una fase nuova, quella del decoupling o disaccoppiamento, un termine che si riferisce al processo di allontanamento e riduzione dell’interdipendenza economica tra due o più nazioni. Alla base di questo fenomeno c’è un aumento delle tensioni politiche a livello internazionale (in particolare tra Stati Uniti e Cina, ma non solo) e una crescente competizione per la leadership tecnologica, due elementi che sono sia cause che effetto del disaccoppiamento. Il deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina alimenta il disaccoppiamento.
Le ragioni dell’efficienza economica che hanno caratterizzato la globalizzazione sembrano passare in secondo piano rispetto alle ragioni politiche…
La separazione delle economie e la creazione di blocchi commerciali distinti creano un ambiente in cui la competizione per le risorse, i mercati e le tecnologie si intensifica e la crescente sfiducia e la mancanza di cooperazione tra i Paesi rendono più difficile la gestione delle tensioni politiche a livello internazionale e aumentano il rischio di escalation. È il circolo vizioso che rende il disaccoppiamento una sfida particolarmente difficile da affrontare per l’economia (e la politica) internazionale.
Venendo all’Italia, quali effetti potrebbero prodursi se Trump applicasse davvero i dazi?
È difficile fare delle proiezioni perché non è chiaro quali prodotti potrebbero essere colpiti, con che intensità e quale potrebbe essere la risposta dei consumatori degli Stati Uniti. Le stime più prudenti parlano di un aumento dell’inflazione in Italia compresa tra 0,3 e 0,5% e di una caduta del Pil dello 0,3%.
E per l’Europa?
La Germania risulterebbe essere uno dei Paesi più colpiti dai dazi degli Stati Uniti. In termini aggregati l’impatto sui Paesi dell’Eurozona dovrebbe attestarsi tra +0,6, +0,8% di inflazione e -0,2 e -0,5% in termini di Pil. Molto dipende anche da che tipo di risposta deciderà di porre in campo l’UE, in caso di ritorsione gli effetti negativi saranno maggiori. In termini più generali è una situazione che sta dissipando fiducia e alimentando incertezza, tutto ciò di cui non ha bisogno l’economia e soprattutto le relazioni internazionali.