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Diversità, equità e inclusione secondo Trump

di Margherita Bassi

«Porre fine ai programmi governativi radicali e dispendiosi in materia di DEI e preferenze» è uno dei primi ordini esecutivi firmati da Donald Trump. L’acronimo DEI indica: diversità, equità e inclusione, e il movimento DEI si ispira al Civil Rights Act, che vieta la segregazione e la discriminazione basata su razza, religione, sesso, colore e origine nazionale

Donald J. Trump con Elon Musk nello studio ovale della Casa Bianca a Washington, DC, USA EPA/Aaron Schwartz / POOL

«Questa settimana metterò fine alla politica del governo che cerca di ingegnerizzare socialmente la razza e il genere in ogni aspetto della vita pubblica e privata. Forgeremo una società che non faccia distinzioni di colore e che sia basata sul merito». Lo ha detto il presidente statunitense Donald Trump durante il suo discorso inaugurale il 20 gennaio, riferendosi alle iniziative di “diversity, equity, and inclusion” (DEI), cioè di “diversità, equità e inclusione.”

Lo stesso giorno, il presidente ha firmato uno dei suoi primi ordini esecutivi: «Porre fine ai programmi governativi radicali e dispendiosi in materia di DEI e preferenze». Questo ordine, insieme ad altri firmati dal presidente nei giorni seguenti, ha cancellato tutte le iniziative DEI all’interno del governo federale e dei suoi appaltatori. Trump ha anche costretto tutto il personale federale dedicato alle DEI a prendersi alcuni giorni di ferie, con la consapevolezza che presto sarebbero stati licenziati.

Ma cosa significa DEI, oltre all’acronimo?

Le iniziative DEI sono programmi o regolamenti il cui scopo è incorporare diversità, equità e inclusione all’interno di contesti specifici, in particolare nelle scuole e negli ambienti di lavoro. Alcuni esempi includono formazione contro i pregiudizi, leggi contro la discriminazione, premi e riconoscimenti per la diversità, e quote di rappresentanza, obiettivi di assunzione, programmi di borse di studio, eccetera, dedicati a minoranze storicamente sottorappresentate.

Il movimento DEI affonda le sue radici nel movimento statunitense per i diritti civili degli anni ’60 e nel Civil Rights Act del 1964, che ha vietato la segregazione nei luoghi pubblici e la discriminazione sul lavoro basata su razza, religione, sesso, colore e origine nazionale. Da allora, le aziende hanno iniziato (lentamente) a incorporare la diversità nelle loro strategie aziendali.

L’omicidio di George Floyd, un uomo di colore morto a causa dell’eccesso di violenza da parte di un poliziotto bianco nel 2020, ha innescato enormi proteste a livello nazionale e rafforzato gli sforzi del programma DEI. Per esempio, un’analisi di Linkedin ha dimostrato che tra il 2019 e il 2022, i ruoli di Chief Diversity and Inclusion Officer (Responsabile della diversità e dell’inclusione) sono aumentati del 168,9%.

Ma le opinioni sono cambiate

“Il pendolo è tornato indietro” recita un detto statunitense. Infatti, l’opinione pubblica ha cominciato a rivoltarsi contro il DEI. Nel 2023, una decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato la “affirmative action” nelle università, cioè una politica che favoriva l’accesso alle Università per studenti appartenenti a minoranze.

Coloro che si oppongono al DEI sostengono che si tratti di un’iniziativa che va contro il valore della meritocrazia e che cerca di risolvere le disuguaglianze discriminando altri gruppi, in particolare i cittadini “bianchi”, finanziandosi con i soldi dei contribuenti. Sebbene sia difficile quantificare il costo totale esatto di tutti i programmi federali DEI, un rapporto di Parents Defending Education sostiene che il Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti ha speso almeno 1 miliardo di dollari in sovvenzioni DEI.

Un altro rapporto di OpenTheBooks sostiene che il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani (HHS) ha speso in media 38,7 milioni di dollari all’anno per i dipendenti DEI. Questi dati suggeriscono che il finanziamento federale alle iniziative DEI ammonta ad almeno parecchie decine di milioni di dollari l’anno.

Durante la campagna elettorale 2024, Trump ha promesso di porre fine alle iniziative DEI. Una promessa che Trump ha mantenuto, probabilmente in linea con il suo nuovo “Dipartimento per l’efficienza governativa”, gestito da Elon Musk, il miliardario proprietario di Tesla.

Numerose grandi aziende hanno seguito questo esempio: Amazon, Meta (la società madre di Facebook e Instagram), McDonald’s, Walmart (la maggiore azienda mondiale di grande distribuzione), Ford, e Harley-Davidson, ed altri, hanno ridimensionato o completamente rimosso le iniziative DEI.

Che ne pensa oggi opinione pubblica statunitense?

Quanto all’attuale opinione pubblica, gli americani rimangono profondamente divisi sull’argomento. Un sondaggio condotto dal Pew Research Center tra il 2023 e il 2024 mostra che il 52% degli adulti americani ritiene che i programmi DEI abbiano un impatto positivo sul lavoro, il 21% crede che abbiano un impatto negativo e il 26% si dichiara neutrale. Nonostante una leggera maggioranza sembri favorevole ai programmi DEI, l’elezione di Trump a novembre 2024 indica chiaramente quali siano le attuali priorità degli elettori statunitensi.

La vera domanda è: l’America ha davvero voltato pagina, o il pendolo tornerà ad oscillare?

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