Sfoglia la rivista

Cultura > Mostre

Napoli e il suo secolo d’oro

di Mario Dal Bello

A Donnaregina una raccolta di lavori secenteschi dalla Collezione della Fondazione De Vito.

Massimo Stanzione, San Giovanni Battista nel deserto, 1628-30 ca. (Fondaz. de Vito / Wikipedia)

Eccoli i protagonisti del “secolo aureo” napoletano. Quelli che sull’onda di Caravaggio hanno detto parole bellissime, e cioè Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione, Ribera, Mattia Preti, Luca Giordano, Bernardo Cavallino, solo per citarne alcuni.

Nella chiesa di Donnaregina, al Museo Diocesano, sfolgorano le parole dipinte dai maestri che se hanno certo amato Caravaggio non lo hanno però copiato, ma interpretato, dando origine ad una stagione pittorica dai risultati ammirevoli.

E se Jusepe de Ribera, noto come lo Spagnoletto, prenderà il lato realistico tenebroso del Merisi con un sant’Antonio abate anziano dallo sguardo ardente sui toni del bruno, Bernardo Cavallino dipingerà una Santa Lucia che è un capolavoro a sé stante. La ragazza-santa che ci osserva smarrita quasi non ci vedesse, preziosamente vestita, è un ritratto forse reale ma che il pittore rende soffice, elegante con quel mirabile drappeggio chiaro del manto ad onde e il tendaggio rosso denso colore del tramonto come una apparizione.

Se poi Mattia Preti dipingerà una istantanea di vita vera nella Scena di carità con tre fanciulli medicanti, scugnizzi del Seicento tra ombre scure colorate tra vicoli e un cielo bigio,  Luca Giordano entrerà in una taverna a cogliere tre personaggi con toni bruni e rossastri, volti segnati, mani magre ed espressioni rudi che ci portano subito dentro il “ventre” di Napoli.

Forse tra le numerose tele,  il punto più interessante – più bello- sta nel confronto tra due immagini di san Giovanni Battista, soggetto tipicamente secentesco,e caravaggesco.

Battistello presenta un ragazzino ammantato di rosso, il corpo pallido, l’occhio vivace, le guance arrossate e l’espressione furba ma innocente. Una libertà scanzonata.  Massimo Stanzione sul 1630 gli risponde con la figura rilassata di un ragazzo che accarezza un agnello. La mitezza del soggetto, mai presente in Caravaggio, è invece qui di una soavità tranquilla, grazie a pennellate distese, ampie nella figura che si squaderna sulla tela e diventa nel dolce chiaroscuro un adolescente preso dalla strada, pieno di amore per le creature.

Queste opere, prestate dalla Collezione della Fondazione Giuseppe De Vito ora presso Firenze e scese a Napoli aprono uno spiraglio sul secolo d’oro e sugli amici di Caravaggio: nuovi creatori dietro la sua figura.

 Fino al 28/2

 

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Riproduzione riservata ©

Condividi

Ricevi le ultime notizie su WhatsApp. Scrivi al 342 6466876