Giovanni Lo Porto e la nostra coscienza

Perché va conosciuto il caso dimenticato del cooperante italiano colpito nel 2015 “per errore” da un drone armato statunitense
Lo Porto

Le storie di Valeria Solesin e Giulio Regeni ci hanno mostrato un volto dell’Italia migliore. La vera unità del Paese è raccontata dalla composta dignità e fierezza delle famiglie di questi ragazzi studiosi, in giro per il mondo e impegnati per la difesa dei diritti umani. Il cordoglio per la loro tragica scomparsa è stato unanime e celebrato pubblicamente. Chi incontra e riconosce i loro genitori sente l’esigenza di abbracciarli. La ricerca ostinata sulla verità e le troppe complicità nella tortura e uccisione di Giulio resta un’esigenza che non può rimanere accantonata da superiori interessi strategici e commerciali con quell’aerea geografica.

Ma c’è una vicenda rimossa che riguarda un giovane palermitano, Giovanni Lo Porto,anch’egli con studi specialistici a Londra e impegnato per una organizzazione umanitaria tedesca in Pakistan. Un vero cittadino del mondo che è stato rapito da un’organizzazione terroristica e ucciso nel 2015 da un drone armato statunitense. Per Giovanni nessuna presenza istituzionale ai funerali celebrati con i pochi resti, identificati con evidente difficoltà, e un’aula parlamentare quasi deserta quando il ministro degli esteri Gentiloni ha cercato di riferire quanto l’alleato statunitense ha fatto sapere della vicenda.

 

Il presidente uscente Obama ha parlato dell’errore compiuto nell’operazione militare che ha colpito Giovanni e altre vittime civili nei 473 attacchi contro obiettivi del terrorismo internazionale, in Paesi con cui gli Stati Uniti non sono formalmente in guerra, compiuti tra il 2009 e il 2015. L’uso di macchine armate senza pilota, comandate da remoto o programmate per agire autonomamente, rappresentano un volto nuovo e inquietante delle guerre. Sul pericolo  rappresentato da « sistemi di armi letali autonome» si è fatta sentire la Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) e molto fermamente monsignor Ivan Jurkovič, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, che è intervenuto nella discussione avvenuta sul tema nell’aprile 2016 alle Nazioni Unite affermando che tali armi non sono efficaci nel proteggere dagli attacchi e dal terrorismo di ogni genere mente gli investimenti in questo settore  rappresentano un «progressivo incitamento alla guerra».

Come hanno scritto su Avvenire Francesco Vignarca e Srdjan Cvijic, la stessa Italia di Giulio, Valeria e Giovanni,  ha richiesto le munizioni per i droni americani non-armati, usati finora per attività di sorveglianza, e partecipa alla costruzione del drone armato europeo ( cosiddetta classe 'Male') insieme a Francia, Germania e Spagna.  Esiste anche un accordo governativo di inter-acquisto di armi sottoscritto nel 2011 con Israele in base al quale «un miliardo di sistemi d’arma italiani venivano venduti in cambio di una similare cifra di armamenti di produzione israeliana, in particolare droni e tecnologia ad essi legata».

 

Ridare visibilità a Giovanni Lo Porto offre la possibilità di ridare voce a tanti altri sconosciuti esseri umani innocenti colpiti da questi sistemi di arma che ci devono interrogare seriamente. Ne abbiamo già parlato su cittanuova.it intervistando il generale Vincenzo Camporini che, quale vice presidente dell’Istituto Affari Internazionali,   interviene il 24 novembrein un seminario (Droni armati, quale controllo? Aspetti giuridici, militari, industriali, sociali) promosso presso l’Istituto Luigi Sturzo a Roma da Rete disarmo e Open Society European Policy Institute. Farsi le domande giuste è una risposta doverosa al dono della vita di Giovanni che con Valeria e Giulio sono davvero la “meglio gioventù” assieme a tanti che vivono costruendo un pezzo di mondo più giusto restando  in questo nostro Paese. 

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