Bassetti: Il povero che parte è Cristo che emigra

Il presidente della Cei ha parlato ai vescovi riuniti a Bari per l'incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”, sottolineando la libertà che i popoli dovrebbero avere di restare nelle loro terre o di partire.

«C’è un nesso inscindibile fra la povertà e l’instabilità: non potrà esserci pace senza miglioramento di vita nelle aree depresse del Mediterraneo e nell’Africa sub-sahariana, non potrà esserci sviluppo sostenibile senza che cambino le regole che sottostanno ad una economia dell’iniquità che uccide. Non potrà esserci arresto delle crisi migratorie e umanitarie senza che sia restituito a ogni uomo e a ogni donna, cittadini del mondo, il diritto di restare nella propria patria a costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia, e senza che a questo diritto sia affiancato anche quello di spostarsi. Liberi di partire, liberi di restare è la linea che, come Conferenza Episcopale Italiana, ci siamo dati nella nostra azione solidale nei confronti dei popoli impoveriti». Le parole del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, sono risuonate nella prima giornata dell’incontro dei vescovi di Bari “Mediterraneo, frontiera di pace”, perché una grande fetta della pace globale passa dal nostro mare.

60 rappresentanti cattolici provenienti da 20 Paesi delle zone asiatiche, africane ed europee bagnate da Mare Nostrum, si sono dati appuntamento nel capoluogo pugliese per momenti di dialogo e ascolto reciproco fino al 23 febbraio con la presenza di papa Francesco che ritorna nella terra che custodisce le reliquie di San Nicola.

Dopo la messa mattutina nella cripta della Cattedrale di San Sabino davanti all’immagine della Madonna Odegitria (dal greco “Colei che conduce”), nel pomeriggio il cardinale Bassetti ha aperto i lavori all’interno del castello Normanno-Svevo.  Nel suo intervento il presidente della Cei è partito dalla bellezza di cui i popoli del Mediterraneo sono secolari eredi, ma oltre alla ricchezza storica, artistica, culturale e della tradizione, purtroppo il Mediterraneo è sinonimo di sofferenza. «Ho avuto l’opportunità di viaggiare molto negli ultimi mesi e di toccare alcune nazioni: quanta sofferenza, quanta ingiustizia, quanta indifferenza», ha dettolla Cei.

«Questo è il contesto nel quale siamo chiamati a vivere la nostra comune vocazione per una cultura dell’incontro e della pace nel Mediterraneo». Poi Bassetti ha aggiunto: «È la guerra a essere una tremenda anti-utopia, una tragica farsa sulla pelle dei poveri: nella complessità delle relazioni internazionali, infatti, la competizione fra le diverse potenze non può essere decisa con la forza delle armi, pena la distruzione del pianeta. Nell’era dei droni e delle bombe nucleari, nell’era in cui per la prima volta siamo costretti a fare i conti con il fatto che le risorse della terra non sono infinite e in quella in cui la scienza e la tecnologia hanno connesso il mondo, mettendo l’uomo in condizione di distruggere o salvare il pianeta, non c’è alternativa alla risoluzione pacifica delle controversie e alla collaborazione».

Si percepisce la sensazione di un punto di non ritorno che deve far riflettere la comunità internazionale e la stessa Chiesa. Un valore aggiunto comune alle terre mediterranee è la diversità. «Un triplice dono ci è stato fatto nel secolo scorso, in particolar modo con il Concilio Vaticano II: quello di riconoscere il valore della diversità liturgica, teologica e canonica delle diverse tradizioni cristiane della comunione cattolica, quello d’intraprendere il cammino ecumenico fra le Chiese, quello di comprendere – a partire dal mistero che ci unisce al popolo ebraico – che il dialogo fra le diverse religioni è già testimonianza della gioia della Resurrezione di Cristo e accoglimento del mistero della sua presenza di grazia nella storia degli uomini».

Sulla scia di queste parole un elemento che permette di perseguire un cammino di dialogo è il Concilio Vaticano II. Il presidente della Cei è chiaro: «Dobbiamo riconoscere che, fin dall’antichità cristiana, le nostre divisioni ecclesiali hanno ricalcato e rinforzato le divisioni culturali, politiche e militari dei popoli mediterranei. Riconoscere il peccato della divisione della Chiesa ci aiuta oggi a capire la grazia che ci è stata donata col Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa, “rovesciando le crociate” e contrastando ogni mentalità del passato, partecipa con convinzione al cammino ecumenico con la testimonianza della carità e della giustizia, così come pratica e propone convintamente il dialogo interreligioso».

Alla velocità dei cambiamenti sociali spesso i punti proposti dallo stesso Vaticano II proseguono con grande lentezza. Bassetti pone dei quesiti: «Come aiutarci fra Chiese ad abitare un’area mediterranea dove i cristiani sono dovunque una minoranza? La trasmissione della fede accomuna tutti noi. Credo che sia necessario e utile non solo il confronto fra vescovi, ma anche l’impegno a far crescere la coscienza fra i nostri giovani che la fede in Gesù risorto genera comunione di vita per la crescita e la realizzazione di un’umanità compiuta». Il presidente della Cei ha parlato anche di come far maturare, concretamente, la coscienza della comunione nella diversità nei giovani. «Essi – ha detto – ci risultano talvolta indecifrabili, inseriti come sono in una rete globalizzata di relazioni e di pluri-appartenenze, riflesso di un’epoca in cui la stessa velocità dei cambiamenti mette in crisi le modalità tradizionali di comunicare il Vangelo e di vivere la comunità ecclesiale. A ciò si aggiunge la partenza dalle nostre terre di molti giovani in cerca di lavoro e di futuro, con ripercussioni immediate nella loro progettualità familiare e nella vita ecclesiale e sociale».

Il discorso di apertura di Gualtiero Bassetti ha toccato i punti discriminanti del Mediterraneo, comuni nelle diverse località e situazioni sociali, ossia “l’esodo” e “gli arrivi” che rendono questo mare ora un cimitero, ora un approdo, ora un appiglio: «Il povero, che parte o che decide di restare, che arriva e che troppo spesso muore durante il viaggio o conosce sofferenze e ingiustizie indicibili, è Cristo che emigra, resta, soffre, bussa alle nostre porte». E continua: «I problemi, con cui ci misuriamo, costituiscono uno stimolo ulteriore a superare, noi per primi, le barriere che attraversano il Mediterraneo e a intensificare l’incontro e la comunione fra di noi. Ne avvertiamo la responsabilità e l’urgenza, convinti come siamo che la tessitura di relazioni fraterne è condizione per partecipare al processo d’integrazione».

 

 

 

 

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