Zuppi, una Chiesa che sta per strada

Una «Chiesa che parla un’unica lingua, quella dell’amore, nella babele di questo mondo». Prima dichiarazione del cardinal Matteo Zuppi quale presidente della Cei che richiama, come esempio sinodale, il convegno di Roma del 1974 sulle attese di carità e giustizia del nostro tempo
Matteo Zuppi Foto Cecilia Fabiano /LaPresse 24/05/2022 Roma, Italia

Appena scelto dal papa, da una terna di nomi votati dall’assemblea dei vescovi, il neo presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinal Matteo Zuppi ha rivolto una breve dichiarazione alla stampa con il suo tono colloquiale, semplice e denso di contenuti. Ha parlato di “Comunione e missione”, di una «Chiesa che parla a tutti e parla con tutti. La Chiesa che sta per strada e che cammina, la Chiesa che parla un’unica lingua, quella dell’amore, nella babele di questo mondo».

C’è grande attesa per quanto potrà fare il “prete delle borgate romane” che arriva dall’esperienza di frontiera della Comunità di Sant’Egidio che ha citato per ricordare l’accoglienza ricevuta dall’allora cardinale vicario di Roma Ugo Poletti che incoraggiò quel gruppo di giovani a cominciare il loro cammino nel 1968. È significativo il fatto che Zuppi abbia citato, in particolare, come esempio di sinodalità della Chiesa, il convegno del 1974, negli anni di Poletti, sulla “responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e giustizia nella diocesi di Roma”.

Quel momento importante nella vita della Chiesa italiana è stato al centro dell’intervista concessa dall’arcivescovo a Città Nuova nel 2020 per ribadire che «quel convegno fu decisivo, perché riuscì a mettere assieme carità e giustizia, necessità di farsi carico delle responsabilità personali e, nello stesso tempo, di individuare le cause delle ingiustizie. Oggi si avverte uno scoramento nell’impegno e si sente la mancanza di soggetti credibili, capaci di attivarsi seriamente per il bene comune.

È uno stato di sofferenza che deve fare i conti con un panorama delle periferie radicalmente diverso. Quarant’anni fa incontravamo le famiglie provenienti dai paesi del Meridione, oggi ci sono i nuovi migranti da diverse parti del mondo, con grandi problemi di integrazione e il rischio reale della nascita di lotte tra poveri. Da parte mia ritengo necessario e opportuno, oggi, proporre, non solo a Roma, ma nelle diverse città, un momento, alto e concreto, come fu quello del 1974, promosso dai cristiani, per dialogare in modo aperto e franco con chi pretende di avere la responsabilità del bene comune».

Ringraziando i suoi predecessori nell’incarico che si appresta a svolgere, Zuppi ha sottolineato la capacità del cardinal Gualtiero Bassetti nella costruzione di un clima di fraternità tra i vescovi italiani chiamati a nuove sfide assieme a tutta la comunità cristiana.

Soprattutto le due pandemie: della del Covid, con tutte le sue conseguenze, e quella della guerra in Ucraina assieme ai tanti conflitti dimenticati. La guerra che, infatti, papa Francesco ha sempre denunciato nella sua manifestazione mondiale a pezzi  che si vanno saldando tra di loro. A tal riguardo Zuppi ha fatto riferimento alla novità dell’enciclica Fratelli tutti nell’impegno deciso per la pace, in particolare nei confronti della bomba nucleare.

Zuppi si è augurato di mantenere sempre la consapevolezza della propria inadeguatezza nel compito ricevuto per affidarsi alla grazia del Signore, confidando nella misericordia dei tanti compagni di strada e nel cammino sinodale di una Chiesa intera capace di un ascolto attento, che si fa ferire dall’altro.

Parole che invitano ad attendere la conferenza stampa già fissata al 27 maggio, alla fine della 76ma assemblea generale dei vescovi italiani.

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