When we hear the cry

Quando sentiamo il grido. Dal primo convegno per le religiose dei Paesi dell’Est e Ovest Europa sulla tratta di esseri umani, promosso dalla rete RENATE (Religious Europe Networking Against Trafficking and Exploitation)
Convegno Renate 2011

A Trzebinia (Cracovia), dal 4 al 9 settembre, si sono radunate 76 religiose da 19 Paesi. Le 8 religiose dall’Italia, appartenenti a 7 congregazioni e provenienti da vari Paesi (Nigeria, Romania, Canarie), rappresentavamo i servizi alle vittime di tratta della Caritas, delle Case di accoglienza, del CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) di Ponte Galeria (Roma), dei contatti con le Ambasciate dei Paesi di provenienza. Servizi coordinati da Eugenia Bonetti, mc, a cui da oltre dieci anni, attraverso l’Ufficio Tratta «Donne e Minori» dell’USMI italiana, fanno capo le circa 250 religiose impegnate per la difesa della dignità della donna.

Come  Estrella Castalone, fma, della rete internazionale delle religiose contro la tratta, «Talita Kum», molte  partecipanti erano a loro volta referenti di Conferenze nazionali delle religiose o di reti e servizi che si stanno sviluppando in Europa e che stanno muovendo i loro passi alla ricerca della conoscenza reciproca e della collaborazione, non solo per prendersi cura delle vittime, ma anche per rafforzare le azioni di contrasto al traffico di esseri umani: reti costruttive contro le reti criminali.

Tante le presenze di giovani religiose dall’Albania, Romania, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Polonia  e altri Paesi con cui cerchiamo di costruire legami più solidi perché più direttamente coinvolti, in quanto Paesi di provenienza o di transito delle donne usate come merce sul mercato del sesso in Italia, porzione di quel milione di esseri umani trafficati ogni anno nel mondo per questo tipo di sfruttamento.

Come dal titolo del convegno, «When we hear the cry»… Quando sentiamo il grido, davvero è risuonato  in ciascuna di noi il loro grido che ha preso posto nel cuore e nell’impegno di ciascuna: in realtà è un grido soffocato dalla violenze dei prepotenti, un grido inascoltato, perché meno forte degli interessi di chi dovrebbe tutelare i diritti, un grido reso vano dalla distrazione dei più.

Questo richiamo forte ci giungeva non solo da chi ha presentato le tematiche o le esperienze nella conduzione dei servizi avviati; esso ha anche motivato i gruppi a un confronto aperto e ricco, alla riflessione e alle proposte e, soprattutto, è stato il filo conduttore dei momenti di preghiera e della liturgia quotidiana, riportandoci a quell’altro grido che da Gesù in croce è riecheggiato in ogni angolo della terra.

Un incontro di questo spessore e nella terra di Polonia, aveva bisogno di essere «affidato» a qualcuno che per molti anni ha donato alla Chiesa e al mondo una nuova immagine della donna e della sua dignità. È ciò che abbiamo fatto, recandoci  a Wadowice, per riconsegnare tale la realtà al cuore del beato Giovanni Paolo II.

Del suo pensiero e della sua vita, con il tono confidenziale dell’amico che ne ha condiviso il cammino, ci ha parlato il cardinale di Cracovia, Stanisław Dziwisz: «Voi siete coinvolte in un ministero che è molto importante nell’epoca contemporanea, in cui, come  diceva Giovanni Paolo II,  l’orizzonte del continente europeo, nonostante i grandi segni di fede, di testimonianza e un’atmosfera indubbiamente più libera e unificata, risente le conseguenze della devastazione morale e spirituale… si diffonde la violenza fisica, psicologica e mentale  e le sue vittime sono persone vulnerabili, private della loro dignità e spesso trattate come oggetto di commercio.

E proseguiva indicando il punto forza per tale ministero:  «Grazie alla vostra collaborazione inter-congregazionale e alle strutture internazionali voi potete  lavorare con una potenza ed efficacia raddoppiata. Voi siete in possesso del più grande potenziale che non si può trovare nemmeno nelle organizzazioni più ricche: il vostro potenziale è il vostro rapporto con Cristo, Salvatore del mondo… Non a caso siete venute in Polonia e a Cracovia. Questa è una terra sacra, impregnata del sangue di milioni di vittime, calpestate, usate, a cui è stata tolta ogni dignità umana. E’ lo stesso servizio che voi volete svolgere oggi: ridate dignità alla persona. Calcate allora questo suolo sacro, dove svolgete i vostri lavori, con rispetto, amore, benevolenza e il Signore benedirà i vostri giorni di riflessione».

Sicuramente è stato un dare ed un ricevere, un voler costruire ponti, nei modi più semplici, apprezzando e imparando dalle altre, trovando le modalità per comunicare anche al di fuori dei momenti ufficiali, usando a fondo tutte le nostre risorse  per cogliere l’opportunità che ci era offerta e far tesoro della ricchezza delle culture e della varietà dei carismi presenti.

Le prospettive a cui l’incontro ci ha aperto è uno sguardo diverso, più attento sulle situazioni dell’umanità e sull’urgenza di prendere posizione, a vario titolo, come persone e come cittadine. Soprattutto siamo chiamate a prendere coscienza del ruolo profetico della vita consacrata nell’impegno contro il traffico degli esseri umani. Sappiamo che il suo profitto annuo ammonta a $32 miliardi, al terzo posto, quindi,  dopo il traffico di droga e il commercio illegale d’armi. È il crimine che costituisce la più grave ed attuale forma di negazione dei diritti fondamentali della persona.

Il nostro vivere deve parlare alla coscienza di tutta la Chiesa, perché prenda visione di questa grave realtà e ne solleciti l’impegno nei vari livelli di responsabilità.

Come gruppo italiano abbiamo potuto condividere i punti forza del nostro servizio, tra cui l’adeguata  legislazione del nostro Paese  che tutela le vittime permettendo la loro regolarizzazione sul territorio italiano, mediante l’adesione al Programma di assistenza ed integrazione sociale ex art. 18 D.lgs 286/98. Per altri versi, abbiamo evidenziato anche le lacune con cui ci misuriamo nell’esperienza quotidiana specie in ambito pastorale. Sono ancora pochi, infatti, i religiosi e i sacerdoti che, a conoscenza del problema del traffico degli esseri umani, sono responsabilmente coinvolti  in questo ministero; manca pertanto un’azione pastorale consapevole, mirata, ai giovani, alle famiglie, una pastorale che formi e responsabilizzi le nostre  comunità parrocchiali.

Sono state elaborate varie piste operative:

– diffondere e dare consistenza alla Giornata europea contro la tratta che si celebra il 18 ottobre

– iniziative in vista dei Giochi Olimpici 2012 a Londra contro il massiccio reclutamento di donne e minori, come solitamente avviene nelle grandi manifestazioni

– sollecitare le Conferenze nazionali delle religiose perché attraverso un proprio Ufficio Tratta  possano fare rete ed essere voce riconosciuta per dialogare con le autorità civili anche al fine di  proporre normative adeguate a tutela delle vittime

– un possibile incontro nel 2013 che non solo renda presenti altri Paesi ma li coinvolga anche nella programmazione.

Tornando nella casa di accoglienza dove opero e guardando al futuro, aggiungo un sogno che porto in cuore: che la collaborazione ormai «esplosa» tra le religiose cattoliche d’Europa si estenda alle monache ortodosse, in diversi Paesi senz’altro più numerose, proprio per tessere ovunque reti condivise di «donne che si prendono cura delle Donne», lavorando tutte, come ama dire sr. Eugenia, «in comunione e non in competizione».

 

Sicuramente la visita ad Auschwitz è uno dei segni che restano nella mia memoria per l’intensità con cui ho ripercorso i passi dolorosi della storia che si sono compiuti sulla pelle e sui corpi di chi è vittima e testimone.

Mi sono immersa ancora di più nei drammi dell’umanità, dove quel grido risuona ancora da ogni parte, anche se la voce delle vittime era di sicuro flebile, smorzata dagli stenti, soffocata dalla paura, repressa dai violenti, bocche di bimbi ancora incapaci di esprimere parole o richieste di aiuto.

Quel GRIDO che un tempo è riecheggiato fino ai confini della terra, quel grido di Gesù, in Croce, che non si è sottratto alla sofferenza, all’abbandono, alla morte, quale anticipo e superamento di ogni altra violenza sofferta dall’uomo di ogni tempo.

Un grido che non resta muto, una morte vinta per sempre: una Resurrezione ogni giorno da accogliere, vivere e ridonare.

Ad Auschwitz ho ricompreso la verità di quanto ho imparato da Chiara Lubich: «Il DOLORE NON È. È L’ AMORE!».

 

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