Water

Secondo la tradizione hindu le donne indiane alla morte del marito hanno tre possibilità: essere bruciate sulla pira del consorte, sposarne il fratello minore o vivere una vita di penitenza in un ashram, emarginate e disprezzate da tutti. Una pratica non del tutto ab- bandonata, che il regista e sceneggiatore Deepa Mehta racconta in questo film ambientato nell’India del 1938, un periodo segnato dall’ascesa di Ghandi e dai mutamenti sociali che segnarono la fine del dominio inglese. Chuya ha solo otto anni ma è già vedova e condannata quindi a una vita di miseria ed emarginazione. La sua straordinaria vitalità porta scompiglio nell’ashram dove viene portata dalla sua famiglia e segnerà profondamente la vita delle donne che cominceranno a mettere in discussione tradizioni, certezze e stili di vita. Water è un’opera interessante e coinvolgente che sconta però l’infelice condizionamento dalla co-produzione occidentale (canadese per la precisione): la fattura è patinata, l’ambientazione edulcorata e due dei personaggi principali hanno tratti somatici occidentali. Non potevano mancare le influenze bollywoodiane, con intermezzi musicali di facile effetto melodrammatico e un certa tendenza al kitsch. Ma la forza della storia è tale che riesce il più delle volte a lasciare in secondo piano questi condizionamenti e a trascinare lo spettatore in quel sogno che è l’India, da sempre in delicato equilibrio tra tradizione e modernità. Non sempre il riscatto è possibile, ma film come questo sono anche segnali di speranza per il futuro. Regia di Deepa Metha; con Seema Biswas, Kulbushan Kharbanda. Cristiano Casagni

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