I volti della speranza

A Monopoli, in provincia di Bari, si apre una nuova Fazenda da Esperança con la collaborazione dei Focolari. Le straordinarie storie di tanti giovani usciti dal mondo delle dipendenze

Scrivo da una terra di sole. Non intendo per il caldo afoso, pesante, soffocante che attraversa Monopoli, incastonata nel mare verde. Né per il profumo di mare, di salsedine, di ginepro, né per la frescura dell’acqua su una cala che bagna le chiare alte mura del centro storico. Scende la sera in piazza Palmieri, animata dal ritmo della samba, dall’odore di panzerotti fritti, dal vociare di giovani e famiglie a passeggio.

Incontro Paulo, brasiliano, parla un ottimo inglese con accento statunitense. Non ha capelli, il volto ovale asciutto, in cui si evidenziano bene gli zigomi scavati da anni di sofferenza sulla pelle olivastra. È un fiume in piena. Vuole condividere una storia, la sua. Non lo conosco, non ho tempo di presentarmi. Ascolto. 45 anni, di San Paolo, è un professore d’inglese caduto in disgrazia. Droghe leggere, pesanti. Spaccio e 5 anni di carcere. Dove è quasi peggio. «Gira di tutto – mi spiega –: stupefacenti, armi. È un luogo di corruzione ancora peggiore». L’aria della ritrovata libertà non lo libera dalla sua schiavitù. La sua è una catena che non si spezza. Compra la droga, la vende, ma non paga più i suoi grossisti che vogliono la sua cara pelle. Paulo diventa un fuggitivo. Un senza fissa dimora. Per due anni dorme per strada, inuna discarica di immondizia. La città si trasforma in un labirinto senza vie d’uscita. Un amico lo rintraccia e lo indirizza dapprima in un centro psichiatrico e dopo alla Fazenda da Esperança. Ormai  è notte, ma tutto è illuminato.

È forte il contrasto tra il buio esterno e la sua storia di luce. Una persona nuova, rigenerata, ritrovata, allegra con il grande desiderio di dirmi: «Cerco di dare un nome ad ogni dolore che è riconducibile all’uomo della croce». Ora vive in Svizzera e segue una comunità di recupero per tossicodipendenti anche se «esistono tanti tipi di dipendenze, se non si ha Dio come ideale.

Dipendenze da droghe, gioco, sesso, alcool, soldi, sé stessi, consumismo, vanità. Da tutto ciò che non è essenziale». Ed è talmente evidente che lui lo ha trovato. Comunica gioia, freschezza, spontaneità.

Eremo di Sant’Antonio, circondato da piante di olivo e con la visione del mare all’orizzonte, lembo occidentale dei confini del Comune di Monopoli, nelle vicinanze di Fasano. Nasce qui la terza comunità italiana della Fazenda da Esperança. Le altre due sono a Lamezia Terme. Nel mondo sono 124. In 34 anni hanno salvato 30 mila giovani e ora ne seguono 3 mila. Sono in continua espansione e non riescono a star dietro alle continue richieste di aperture di nuove case e alle persone che si vogliono unire a loro. Sono il frutto di un originale shakeraggio. Un mix ben assortito tra il carisma francescano e quello dei Focolari. Nel 1983 nella città di Guaratinguetá, nello Stato di San Paolo (Brasile), Nelson Giovanelli, un giovane dei Focolari, oggi ha 55 anni, incoraggiato dal suo parroco padre Hans Stepel, 71 anni, francescano tedesco, si avvicina ad un gruppo di tossicodipendenti nel loro difficile quartiere. «Non avevo nessun piano – racconta Nelson –. Volevo solo vivere la Parola di vita che quel mese era: “Mi son fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli”, e invitava a farsi una cosa sola con il prossimo, a immedesimarsi con lui, con un amore di totale gratuità, senza aspettarsi nessun risultato. Per due mesi, tutti i giorni, li ho incontrati sulla strada, dopo il lavoro, fino a conquistarmi la loro fiducia. Uno di loro, Antonio, mi ha chiesto di aiutarlo, di seguirlo 24 ore su 24 perché non voleva più tornare a casa a vedere sua mamma piangere. Dapprima li abbiamo portati in parrocchia, poi a casa mia. Così tutto è cominciato».

Padre Hans ci tiene a sottolineare che loro, i fondatori, non sono importanti. «Abbiamo lasciato ogni incarico ufficiale – mi spiega – per sottolineare che i principi che ci guidano sono: l’amore gratuito, la presenza di Gesù da lui promessa dove si vive l’amore reciproco pronti fino a dare la vita per i propri amici e la scelta di Gesù crocifisso e abbandonato per riconoscere in ogni dolore un Suo volto da amare». La loro ricetta è tutta qui, niente farmaci, solo un ausilio psicologico detto a.d.i, cioè accesso diretto all’inconscio, secondo la teoria e la pratica ideata dalla dottoressa Renate Jost de Moraes, che osserva la persona non tanto nella sua dimensione psicodinamica ma in un’ottica integrale.

Una collaborazione che continua. A Monopoli la Fazenda è supportata dalla comunità dei Focolari, da 100 Giovani per un mondo unito di Puglia e Basilicata che hanno organizzato “Yes, we camp”, un campo estivo che vede anche la partecipazione del complesso internazionale Gen Rosso con workshop artistici, musicali, coreutici, di recitazione e due spettacoli del musical Campus, rappresentato nel teatro Kennedy di Fasano. L’inaugurazione della Fazenda, con 450 persone, è avvenuta il 9 luglio.

«Non è stato un episodio isolato – commenta Donato Valerio di Turi, in provincia di Bari –, partecipare a questo campo è stato una cura per l’anima che continua nel tempo». Per Antonella Tarasco di Matera è stata «una delle più belle esperienze che ho mai fatto. Ho conosciuto ragazzi che hanno vissuto l’inferno e che ora trasmettono una gioia che noi non abbiamo. Vivono una vita come se fossero stati morti e ora sono risorti. Vogliono recuperare il tempo perso e ci siamo sentiti molto uniti con loro, al di là della lingua, dell’età, delle diverse nazioni di provenienza».

«Questi ragazzi sono delle calamite – aggiunge Giuseppe Marzulli di Conversano, in provincia di Bari –, sono giovani che hanno sperimentato l’alcool, la droga, esperienze comuni anche da noi, ma sono riusciti a riscattarsi. C’è stata una grande collaborazione».

Rimangono impresse le immagini di questi giovani della Fazenda, tatuati, con i volti vissuti, con i piercing, che comunicano la Sua presenza mentre parlano di Dio, della loro vita ritrovata da baratri apparentemente irrecuperabili. Rappresentano davvero i volti della speranza.

 

Le storie

Nico Jächels, 22 anni, di Berlino. La mamma è una ragazza madre che muore per overdose di eroina quando Nico ha 10 anni. Trascorre 8 anni in un orfanatrofio dove scopre il mondo della droga e della criminalità. In vacanza in Irlanda una persona gli fa scoprire il senso della preghiera. Tornato a Berlino, è di nuovo solo e avverte il bisogno di una spiritualità. Su Internet trova l’esperienza della Fazenda e ora è responsabile di una comunità in Baviera. Si è consacrato a Dio e i tatuaggi che rappresentano un àncora sono per lui un simbolo di Gesù, l’unico su cui ormeggiare la propria vita.

Alejandra Paredes, 22 anni, di Formosa, Argentina. Non ha mai conosciuto suo padre. A 15 anni perde la mamma  e il suo equilibrio, ritrovato solo nella droga e in una vita spericolata. Pensava fosse normale lavorare e drogarsi. Nella Fazenda dove viene accolta, dorme nella stessa stanza con una colombiana che la notte non riesce a dormire e parla in continuazione. Per volerle bene come lei desidera, la notte si alza, le tiene la mano, l’ascolta. Scopre che non dorme perché in passato ha subito un abuso sessuale. «Mi sono sentita felice, realizzata, perché ho cominciato a vivere il Vangelo».

Guzman Etcheverry, 37 anni, di Montevideo, Uruguay. È di una delle famiglie più ricche della sua città, la sua famiglia ha una holding con duemila dipendenti. Perde il senso della vita e non ha una fede. A 24 anni vende tutte le sue quote societarie. La sua droga era il lavoro, lo studio e il denaro. Cura la depressione con la cocaina che «era una barriera emozionale, mi faceva di- menticare il dolore, anche se in modo artificiale». Da poco più di un anno vive in una Fazenda e sta andando ad aprirne una nuova in Polonia. «Non solo credo in Dio. Avverto la sua presenza reale nella mia vita».

 

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