Volontariato ad una svolta

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Vedi Napoli e poi muori. L’antico adagio metteva in luce le bellezze dela città. Per il mondo del volontariato, però, poteva suonare come un rischio e una minaccia, perché proprio nella città partenopea è stata convocata a metà aprile la V Conferenza nazionale da parte del ministero della Solidarietà sociale. Negli ultimi anni, infatti, la variegata galassia delle associazioni di volontariato sta vivendo una situazione – a detta di molti – di poca chiarezza, di commistione , di snaturamento, per cui alcuni osservatori rilevano da tempo piena turbolenza tra le diverse anime e preannunciano una spaccatura imminente tra grandi associazioni, quasi imprese sociali con fatturato e dipendenti, e piccoli gruppi animati dalla gratuità. Al capezzale della situazione di crisi è corso, con un videomessaggio, un napoletano verace, Giorgio Napolitano. Resta sempre valida – ha ricordato il presidente della Repubblica – l’ispirazione originaria, che consente al volontariato di rappresentare la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, sulla base del criterio di gratuità e del valore irrinunciabile del dono di una parte del proprio tempo e delle proprie capacità. E poi, a mo’ di incoraggiamento e di appello al ricompattamento, ha fatto presente la crescita quantitativa e qualitativa del volontariato , con particolare riferimento ai significativi segnali di ripresa dell’impegno giovanile. Quattro milioni sono le persone impegnate a vario titolo, mentre aumenta il numero delle associazioni e diminuisce la differenza di presenza tra Nord e Sud del Paese. Qual è il motivo di crisi? Da una quindicina d’anni – ha spiegato recentemente don Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità di Capodarco – si è instaurato un abbraccio perverso: l’ente pubblico si appella al volontariato; questo si impegna nella gestione delle risposte in convenzione . Con conseguenze negative: L’ente pubblico si interessa sempre meno dei diritti delle persone bisognose; il volontariato diventa semplice esecutore (a basso costo) delle indicazioni dell’amministratore di turno. Netto, il suo commento: L’eccessivo ricorso al volontariato nasconde una cattiva politica. Bisogna esigere risposte adeguate alle necessità emergenti da chi ha il dovere civile di darne. Insomma, il ruolo del volontariato è quello di farsi interprete dei bisogni e anticipare le risposte pubbliche, ma non svolgere funzioni di supplenza delle istituzioni. Alle orecchie di molti non suonano, perciò, confortanti certi dati, secondo cui il mondo del volontariato ha raggiunto un fatturato di 38 miliardi di euro e nelle imprese sociali lavorano oltre 630 mila dipendenti. Il merito dell’assise napoletana è quello di aver provato a fare chiarezza. Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, ha sostenuto che l’impresa sociale e il volontariato sono cose diverse, sono due condizioni distinte che vanno garantite. Dai numerosi interventi è emerso che il volontariato è più produzione di relazioni sociali che di servizi, più ricostruzione della comunità che risposte organizzate ai bisogni. Dove sono allora i cattivi? Nelle imprese sociali? Certamente no. Sono, piuttosto, nella commistio- ne, spesso dettata da una concomitanza di stati di necessità: quello di chi versa in difficoltà e non trova servizi pubblici, e quello di chi appronta una risposta con l’ausilio di volontari, spesso senza lavoro, ricompensati con un rimborso mensile forfettario. Gli effetti sono quelli che sono: i servizi non vantano professionalità e tempo pieno, ma sono meglio di niente; i volontari-dipendenti sono sottopagati, ma è sempre meglio di nulla. Cosicché, il volontariato ha assunto impegni che spettano all’impresa sociale e questa ha utilizzato il volontariato per occupare un po’ di gente e tenere bassi i costi di gestione. Il fenomeno si è ampliato di pari passo con l’accresciuto ruolo del volontariato nella società italiana negli ultimi due decenni. Da una parte, vi ha contribuito la crisi dello stato sociale e del venir meno del ruolo solidaristico dello Stato. Dall’altra, come ha ricordato il filosofo Marco Revelli, è dovuto allo sgretolamento della società, al peso che ha avuto il mercato nella rottura dei legami, nel determinare la crisi profonda della coesione sociale. Il mondo del volontariato perciò è diventato spesso il referente delle amministrazioni locali, subendo la costante tentazione di occuparsi più delle relazioni con le istituzioni che costruire legami con la gente. Ne va a discapito anche del rapporto con i giovani, afferma a Città nuova Edoardo Patriarca, presente a Napoli in qualità di fresco consigliere dell’Agenzia nazionale delle Onlus (organismi non lucrativi di utilità sociale), dopo il lungo impegno di portavoce del Forum del Terzo settore. A Napoli ha trovato molta serietà tra gli oltre 2.200 partecipanti, tutti protesi a dialogare, riflettere e capire. Il volontariato è – per Patriarca – prima di tutto un’esperienza di comunità. Per questo penso alle nuove generazioni. Mentre a volte, nel volontariato più strutturato si chiamano i ragazzi a svolgere attività di servizio, ma nient’altro. Invece, vanno recuperati il senso della vicinanza ai poveri, la centralità dell’incontro con l’altro, la ricchezza dei valori, la dimensione della cittadinanza, della partecipazione, della politica. Un cammino di cittadinanza, che vuole ampliarsi alla dimensione internazionale, con la possibi- lità che il volontariato diventi anche un’esperienza di cittadinanza europea. A Napoli si è parlato di una sorta di Erasmus del volontariato, al pari del progetto di collaborazione – Erasmus, appunto – in atto tra numerose università del continente. Conclusa la conferenza, resta il problema della risorse. Del cosiddetto tesoretto dovuto all’inatteso maggiore gettito fiscale, sembra che solo una parte vada a sostenere la spesa sociale. Eppure, c’è bisogno di maggiori investimenti sulla rete dei servizi, che, com’è risultato a Napoli, devono essere garantiti dallo Stato. La loro progettazione e l’individuazione dei bisogni sul territorio sono invece da realizzare insieme con il volontariato. Vedi Napoli e il volontariato si rilancia. Visione ottimistica? Il percorso è solo iniziato – avverte con realismo Patriarca -. Ci vorrà ancora tempo per recuperare la dimensione della profezia, del dare voce a chi non ne ha, della denuncia . E aggiunge: Bisogna ricominciare a stare sulla strada, come dicono i boy-scout, perché i luoghi del volontariato non sono solo i tavoli di concertazione. Occorre camminare con più coraggio e con maggiore autonomia dalla politica. La riflessione è ora consegnata soprattutto alle reti nazionali del volontariato, che hanno maggiore possibilità di mantenere alto il confronto ed elaborare cultura per dare futuro al volontariato in fedeltà alle ispirazioni originarie. Il prossimo 29 maggio si terranno a Roma gli stati generali del Terzo settore, ricco di un centinaio di organizzazioni nazionali. La Città eterna potrà offrire degna cornice all’ampio dialogo, purché non risulti eterno il tempo delle riunioni. PASINI: TENERE ALTO IL VALORE DELLA GRATUITÀ Ribadire che il volontariato si caratterizza per la gratuità, oltre che per la solidarietà, e non è una possibilità di lavoro, era quanto mai doveroso. Mons. Giuseppe Benvegnù Pasini è considerato uno dei padri nobili del volontariato italiano. Dopo aver guidato la Caritas italiana, ricopre ora l’incarico di presidente della Fondazione Zancan, autorevole centro studi sulle tematiche sociali. Chiarezza è stata fatta? È indispensabile aver precisato il profilo del volontario: dona competenze e tempo a latere della propria professione; può assumere una presenza dentro i servizi pubblici o privati, ma come integrazione di quanto svolto dai servizi, non come sostituzione o alternativa. Abolire allora i rimborsi forfettari? Costituiscono un equivoco. Se nel suo servizio di volontariato, la persona sostiene delle spese (benzina, biglietto ferroviario, panino, ecc.), queste vanno rimborsate. Altrimenti, il volontariato può farlo solo un benestante. Tuttavia, parecchie sedicenti azioni di volontariato hanno adottato in tempi recenti il metodo del rimborso forfettario di 300- 400 euro al mese, che danno molto l’impressione di essere una paghetta. Invogliano le persone alla partecipazione ma aumentano la confusione e creano l’immagine di un volontariato, che, sotto l’apparenza della gratuità, alimenta il lavoro nero. Non pensa che questa chiarezza provocherà problemi a tante persone? Questa sottolineatura precisa e potenzia il ruolo del volontariato dentro la società, come sale della Terra, come forza che tende a creare logiche diverse (il dono) da quelle dell’interesse e del profitto. È una presenza che ha una valenza anche politica: proprio perché lavora gratuitamente in mezzo agli ultimi, il volontariato è in grado di suggerire pure alle forze politiche forme di risposta ai bisogni che ad altri sfuggono. Belle parole, diranno le grandi associazioni, ma poi la realtà… Le grandi associazioni di volontariato, che hanno assunto in molte parti veri e propri servizi, rischiano maggiormente di confondersi con le imprese sociali. È opportuno perciò favorire e sostenere i piccoli gruppi che lavorano sul territorio, che non hanno grandi interessi di rappresentanza, che rischiano meno di cadere nell’equivoco del volontariato non volontariato. Resta, comunque, il problema delle scarse risorse finanziarie per sostenere il volontariato. Guardi, se il volontariato è autentico, non ha bisogno di tantissimi soldi. Tante operazioni a sostegno dei gruppi possono essere svolte dagli appositi centri di servizi, che hanno risorse, destinate soprattutto alla formazione dei volontari. Altri soldi per pagare i volontari non devono essere richiesti dalle associazioni.

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