Voglia di cambiamento e democrazia

Non siamo davanti a un voto di protesta ma a un'esigenza che nasce dal corpo elettorale che impegna seriamente gli eletti. Una delicata fase di transizione che necessita di dialogo sul bene comune per non essere travolti dalla logica amico-nemico

L’Italia comincia la sua “incerta traversata” verso la strutturazione di una maggioranza parlamentare e la formazione del governo, dopo un’elezione che ha decretato un cambio di scenari andati ben oltre quanto preventivato dai sondaggi. Il crollo del Partito democratico non ha solo “punito”, come si usa dire, la classe dirigente uscente, più esposta alle contestazioni degli scontenti e dei dimenticati dall’azione di governo, ma ha certificato il comune destino di un pensiero progressista in arretramento ovunque, anche per il venir meno di una politica efficace sul territorio e l’incapacità di leggere l’urgenza di alcune battaglie non differibili (ad esempio, l’equilibrio tra risorse energetiche, politica ambientale e fonti rinnovabili; oppure il conflitto di competenze e d’interessi tra politica, economia e finanza).

Il sorpasso della Lega salviniana, che ha lasciato la roccaforte del Nord per tentare una storica affermazione nazionale, ai danni di Forza Italia, erede in arretramento di un pensiero liberale che è apparso fondamentale per governare col consenso delle classi medie per oltre 50 anni, rappresenta non solo la conferma di un trend comunicativo: vince chi ha slogan semplici e che impattano le problematiche “calde” della stagione di riferimento; ma anche la consegna di un indicazione strutturale: non si governa più al centro, ma fuori dai vecchi schemi e dalle antiche liturgie della classe politica.

L’affermazione del Movimento 5 Stelle, previsto ma numericamente debordante, non può essere derubricato a voto di protesta (tale era semmai quello degli esordi nel 2013), ma va probabilmente letto come una voglia di cambiamento radicale, affidata a coloro che si sono presentati come liberi da vincoli storici (partitici, sindacali, clientelari in senso ampio) e per questo in grado di proporre un’alternativa che ha il sapore della novità.

Elezioni: lunghe file ai seggi a Roma per votare

Da più parti si è fatto riferimento al voto come espressione della sovranità del popolo. La correttezza formale del concetto non può tuttavia mascherare le responsabilità che competono a quanti sono stati destinatari di un consenso libero, che ora si trasforma in un mandato istituzionale. Il voto è “solo” la prima espressione di massa, che sceglie uno schieramento, un programma, uomini e donne incaricati di portarlo a compimento. Il passo successivo, quello che compete a coloro che sono chiamati ad abitare i luoghi della politica, è la seria assunzione del proprio ruolo, nel quale l’obbiettivo è il governo di un paese, che è macchina burocratica per il disbrigo dell’ordinario, ma anche lavoro per ridurre le fragilità e le carenze infrastrutturali, pensare strategicamente la propria collocazione nei consessi internazionali di riferimento, ma anche contributo fattivo alla gestione e alla soluzione dei drammi che attanagliano la comunità internazionale (come guardare al fenomeno migratorio con altri occhi?).

In questo passaggio vi è tutta la sacralità, se così si può dire, dell’impegno e della vocazione politica: quando si assume la responsabilità di governare, ci si deve sentire investiti di quella sovranità che il popolo consegna ai propri rappresentanti. In quel “consegnare” vi è lo spazio di libertà nel quale esercitare il mestiere della politica: serietà, ponderazione, dialogo, accordo, sono tutte parole che rappresentano quanti hanno un’idea alta del servizio alla causa comune, senza cedimenti alla descrizione della politica come una cosa ‘sporca’, compromettente, alla quale guardare con diffidenza, probabilmente perché a lordarla hanno contribuito prassi, comportamenti che vanno imputati alle persone, alle strutture asservite a cause personalistiche o settarie lontane dai problemi reali delle gente.

Elezioni politiche 2018

Un’elezione generale, che spesso equivale ad un reset per gli sconfitti e ad un banco di prova per coloro che assumono l’onere del governo, rappresenta anche il momento nel quale fissare alcuni punti fermi, trasversali, validi per tutti, capaci di lavorare proprio all’interno dello spazio comune, in quel pre-politico che tutti i cittadini dovrebbero “abitare” prima di dividersi in base al partito di appartenenza. Ebbene, l’ultimo periodo sta certificando come normali alcune prassi, alcune deviazioni a cui un tempo si sarebbe guardato con preoccupazione, rispetto alle quali appare impossibile derogare, se non si vuole limitare fortemente lo spazio del vivere associato. Un primo aspetto riguarda il logoramento della politica, il modo di pensarla e le norme di comportamento connesse all’esercitarla: la corruzione non si è fermata al fenomeno del legame malato tra economia e partiti, tra potere clientelare e controllo del territorio, ma ha raggiunto uno stile di far politica, imponendo immagini e semplificazioni che distruggono la politica stessa. La contrapposizione amico-nemico avvelena il clima, fa vincere il sospetto e impedisce un sano confrontarsi tra opinioni diverse, perché i rappresentanti delle stesse sono sempre troppo preoccupati di dover demolire non solo le idee, ma la persona, l’ambiente, il retroterra culturale che ha generato e nutrito la proposta differente. Senza rendersene conto, qui sta la gravità di un secondo aspetto, il veleno con cui si alimenta il proprio impegno sta producendo la fine della fiducia nel sistema democratico, che potrà anche essere imperfetto, ma corrisponde alla maturazione o al crollo dei valori comunitari.

Il partito, il sindacato, l’associazione di volontariato, le comunità religiose, etc. rappresentano altrettante realtà giuridiche, sociali che mettono in relazione e in dialogo la crescita economica e la tutela di diritti, lo sviluppo armonico della società e l’attenzione al benessere generalizzato dei cittadini, l’attivismo nello scenario regionale e internazionale e l’impatto delle proprie scelte strategiche. Sono sempre scelte antropologiche quelle che fanno la differenza. Quale visione di umano/persona voglio veicolare? La fiducia, il rispetto, il lavoro di mediazione non si improvvisano, ma sono frutto di una pedagogia, un’educazione alla creazione di spazi di democrazia in cui lasciare che il potere del popolo, la sovranità del popolo si incontri con la fatica necessaria del dialogo, con l’accettazione del diverso, con la complessità che il mestiere della vita rappresenta a tutti i livelli.

Le parole del bene comune (associazione, comunità, fraternità, etc.), possono ancora associarsi a quelle dell’etica (onestà, trasparenza, gratuità, etc.) e creare quella buona politica che vale la pena augurare a maggioranza e opposizione, classe dirigente e società civile, all’intero sistema Italia che cerca il suo nuovo equilibrio post-elettorale.

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