Vivere in un mondo iperconnesso, intervista a Bruno Mastroianni

Bruno Mastroianni è autore con Vera Gheno di un saggio (“Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello”) citato nella traccia di esame proposto nel recente prova di esame di maturità scelta dalla maggior parte degli studenti. Anche quando non lo vogliamo, siamo stabilmente connessi alla rete e alle piattaforme che la popolano. Che problema pone questo fenomeno?
Mastrianni su iperconessione. Foto Meta Store in Burlingame, Calif., (AP Photo/Eric Risberg)

Il Covid ha sfornato una “generazione Dad” (già nativa digitale) che sa benissimo cosa significhi rimanere connessi sempre, h24. Non può stupire, dunque, che all’esame di maturità oltre uno studente su 5 abbia scelto la traccia sull’iperconnessione, introdotta da un brano di Bruno Mastroianni e Vera Gheno contenuto in un saggio scritto a quattro mani: Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello (2018, Longanesi).

«Vivere in un mondo iperconnesso comporta che ogni persona abbia, di fatto, una specie di identità aumentata: occorre imparare a gestirsi», perché «in presenza di un’autopercezione non perfettamente delineata, o magari di un’autostima traballante, stare in rete può diventare un vero problema».

Inizia così il passo di Tienilo acceso proposto lo scorso 22 giugno dal ministro Bianchi agli studenti italiani. Una volta sottolineato il rischio vulnerabilità, però, il brano propone una via d’uscita: «Ognuno di noi ha la libertà di narrare di sé solo ciò che sceglie. Non occorre condividere tutto, e non occorre condividere troppo».

Quella sull’iperconnessione e sulla web reputation è stata in assoluto la traccia più apprezzata dai 539.678 maturandi. Scelta dal 21,2%, gli studenti l’hanno preferita a quella sulla Shoah targata Segre-Colombo (18%), e a quella su Verga (a “Nedda” è andato il 16,5% delle preferenze). Se questo è il “podio”, scorrendo via via le posizioni, l’ultima scelta è stata l’analisi di una poesia di Giovanni Pascoli, “La via ferrata”, su cui ha puntato solo il 2,9% dei maturandi.

«L’abbiamo combinata grossa!», questo è il messaggio che Bruno Mastroianni (social media strategist dei canali social della Rai, oltre che coautore di trasmissioni quali “A Sua immagine” e “La grande storia”) ha inviato a Vera Gheno, linguista e coautrice del libro da cui tutto è partito.

Abbiamo incontrato Bruno Mastroianni, «sedicentefilosofo col chiodo fisso delle discussioni» (così nella sua bio su Twitter).

 Mastroianni, che effetto le ha fatto finire tra Pascoli, Oliver Sacks e Verga?
All’inizio stupore, poi un senso di piccolezza tra i grandi. Ho ripensato alla mia maturità e a quanto quell’esame sia stato una tappa cruciale per la mia vita. Nell’esame di migliaia di studenti, esserci, assieme a Vera Gheno, mi ha fatto impressione.

Tra i tanti messaggi che le sono arrivati dai ragazzi, qual è quello che le ha fatto più piacere?
Quelli in cui gli studenti mi hanno detto: grazie per averci salvato l’esame (in realtà l’espressione usata è “svoltato”). Qualche illustre critico ha detto che la traccia di Tienilo acceso era quella “facile”. A me non suona come una critica, ma come una qualità. Vuol dire che sollevava una questione universale, affrontabile da tutti.

Perché è importante questa crescente sensibilità alla sfera digitale dei ragazzi?
Perché mentre la sensibilità è solo crescente, la tecnologia digitale è già penetrata e si è consolidata in tutti gli aspetti delle interazioni umane. L’educazione dovrebbe arrivare ad anticipare i problemi del futuro. Siamo sulla buona strada, ma diciamo che c’è ancora molto da fare.

Il suo libro rimarca il fatto che anche quando non lo vogliamo, siamo stabilmente connessi alla rete e alle piattaforme che la popolano. Che problema pone questo fenomeno?
Pone un problema a tutti coloro che, nostalgicamente, credono ancora che basti spegnere o fare un po’ di digital detox. Invece la sfida è molto più ampia e riguarda la consapevolezza su quanto siamo già cambiati come esseri umani in rete.

La traccia spingeva anche a far riflettere i ragazzi sull’hate speech, sulle polarizzazione a cui i social network ci conducono quasi per natura, per come sono progettati.
Direi che il primo a essere progettato per l’odio è l’uomo (che per fortuna è progettato anche per l’amore). La tecnologia non fa altro che amplificare le nostre possibilità. Se lo fa con algoritmi e piattaforme che fomentano la parte oscura, dobbiamo guardare agli uomini che sono dietro quelle piattaforme con cui perseguono scopi utilitaristici e commerciali. Insomma il problema alla radice non sono le macchine, ma gli uomini dietro di esse.

Lei è autore anche di un altro saggio: “La disputa felice. Dissentire senza litigare online e offline” (Cesati, 2017). Lì afferma che non si può “essere” gentili, bisogna diventarlo. Ci spiega?
Noi non siamo, diventiamo. Siamo i nostri atti. Più ripetiamo un certo tipo di azione e più ne assumiamo la forma. Alla fine è la classica ottica delle virtù: per acquisire certe qualità occorre la pratica e la ripetizione di atti. Il che vuol dire che nessuno di noi è definitivamente buono o cattivo, tutto dipende dalla prossima azione. E tra le azioni ci sono anche i like, i commenti, i messaggi di whatsapp e tutto il resto. Da come useremo le nostre parole in rete dipenderà la forma costruttiva o distruttiva che assumeremo come esseri umani, e quale forma avrà la nostra società.

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