Vittoria, la protesta degli agricoltori

Pomodorini venduti a 20 centesimi al kg, contro il costo di produzione di un euro al kg e il prezzo dieci volte più alto sui banchi del supermercato: le ragioni di un'iniziativa che denuncia una situazione disperata
Il presidio degli agricoltori a Vittoria

Decine di cassette di pomodoro, gettate sull’asfalto. Una protesta eclatante e disperata. Un grido di dolore. Perché il pomodoro, da queste parti, si vende a prezzi bassissimi, quasi irrisori, e gli agricoltori che lo producono non riescono a sostenere i costi di produzione. Non vendono e si indebitano. Arriva la Polizia, identifica i presenti. La manifestazione non è autorizzata. Scattano le multe. Viene multato anche Mariano Ferro, leader dei Forconi, un movimento che da alcuni anni cavalca la protesta, chiedendo che i governi ascoltino la voce degli agricoltori. Inascoltato.

Siamo a Vittoria, contrada Fanello: qui sorge il mercato ortofrutticolo. Il più grosso mercato alla produzione della Sicilia. Da qui passano gli ortaggi ed i primaticci. Coltivati nella cosiddetta “fascia trasformata, lungo una zona costiera di quasi 90 chilometri dove le serre e le aziende orticole si alternano ai villaggi vacanze ed alle spiagge mozzafiato. È una terra che vive di contraddizioni, la Sicilia. Sospesa tra una tradizione agricola che fatica ad adeguarsi ai tempi ed uno sviluppo turistico che ha portato progresso e ricchezza, ma che non si è mai “sposato” veramente con il territorio.

La “programmazione”, da queste parti, è un termine poco in uso. Pochi e capaci imprenditori hanno saputo investire e stare sul mercato. Il resto fa parte di un’economia debole e che fatica a stare al passo con i tempi.

È il caso dell’agricoltura. Negli anni 60 e 70 vengono impiantate le prime serre: si producono primaticci, molto richiesti sul mercato. L’economia locale fa un salto di qualità. La produzione sottoserra è di alta qualità. Le primizie di Vittoria e delle zone limitrofe invadono i mercati del Nord Italia, giungono anche in Francia ed in Germania. È il boom dell’agricoltura siciliana, che porta con sé reddito e benessere. Uno sviluppo repentino, che ha retto per alcuni decenni. Almeno finché le condizioni dei mercati internazionali non sono mutate e finché i costi di produzione sempre crescente non hanno modificato radicalmente la situazione economica degli agricoltori.

Oggi, chi produce i prodotti della terra difficilmente riesce a reggere il peso del confronto con i mercati internazionali. Altre produzioni, provenienti, ad esempio, dai mercati del Nord Africa, invadono i mercati europei. I prezzi sono competitivi anche perché, da quelle parti, i costi di produzione (per primo della manodopera) sono nettamente inferiori. Il resto lo fanno le mutate condizioni di mercato, dove la concentrazione della domanda nelle mani di pochi commercianti rendono impari il confronto con chi, invece, produce. Le distorsioni del sistema mercatale oggi fanno si che mentre nei mercati alla produzione (Vittoria, ma anche altri mercati della zona) il pomodoro viene venduto a 20 centesimi, sui banchi del supermercato venga acquistato a 2,50 euro al chilo. Una distorsione che impoverisce il Meridione.

La protesta viene guidata dai movimenti spontanei. Anche questo è cambiato. Le organizzazioni agricole (Coldiretti, Cia, Confragricoltura) oggi sono lontane dalle piazze siciliane. Una serra allestita in una piazza di Vittoria è diventata presidio permanente. Da sei mesi. A maggio e giugno alcuni agricoltori (Rosetta Piazza e Fabrizio Licitra) hanno dato vita allo sciopero della fame. Poi sono arrivati gli incontri con i parlamentari. Si chiedono misure a sostegno del comparto agricolo, si chiede una moratoria della situazione debitoria delle aziende. Si chiede di modificare la legge sulle aste che oggi permette di vendere i beni di proprietà a prezzi molto bassi. Il debitore vede volatilizzarsi i suoi beni senza riuscire ad introitare quanto basta per pagare i suoi creditori. I creditori non riescono ad ottenere quanto è loro dovuto. I beni di proprietà finiscono, spesso per pochi spiccioli, nelle mani di altri proprietari. Gli agricoltori chiedono che si fissi una soglia oltre la quale non è possibile effettuare dei ribassi. Un gruppo di parlamentari nazionali (Marialucia Lorefice, dei 5 stelle, Giovanni Mauro, di Forza Italia e Venerina Padua, del Pd) hanno assunto l’impegno di un’iniziativa comune. Pur in una legislatura che volge ormai al termine. E che difficilmente potrà produrre dei risultati in tempi utili.

Per far sentire la loro voce Altragricoltura, il 29 luglio, organizza una vendita diretta del pomodoro. A costo di produzione. «Oggi produrre il ciliegino – spiega Maurizio Ciaculli – costa un euro al chilo. Ma nel mercato di Vittoria si riesce a venderlo per non più di 20/30 centesimi. L’agricoltore, dunque, non guadagna, non riesce nemmeno a sostenere i costi. Eppure, lo Stato vara norme sempre più precise e stringenti, come quella sul “caporalato”. Noi la condividiamo, ma chiediamo: come si può chiedere ad un produttore di pagare di pagare 70 euro al giorno ai propri dipendenti se il prodotto viene venduto per pochi centesimi? Eppure, questo stesso prodotto viene venduto a prezzi molto alti nei banchi del supermercato. Su questo prodotto, dunque, guadagnano altri, non il produttore. In queste condizioni sempre più aziende chiudono e spesso, se non si è riusciti a pagare i beni di proprietà finiscono all’asta».

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