Visioni del mondo intorno a una macchina

Mentre il premier Monti va alla ricerca di investitori cinesi per l’Italia, Marchionne presenta, alla Bocconi di Milano, la sua visione della globalizzazione e dei diritti
marchionne

Il settimo produttore di auto nel mondo si chiama Fiat Chrysler. Impiega circa 260 mila persone in tutto il mondo e per progettare un nuovo modello deve investire almeno un miliardo di euro. Sono questi alcuni dei dati esposti in quello che può definirsi un manifesto della filosofia di vita di Marchionne durante l’intervento che l’amministratore di questo grande gruppo industriale e finanziario ha tenuto nell’aula magna dell’università Bocconi il 30 marzo del 2012, invitato dalla Baa (Bocconi alumni association). Nello stesso giorno la casa automobilistica Fiata ha annunciato il calo del 40 per cento delle vendite di autovetture in Italia, mentre il presidente della prestigiosa università milanese, Mario Monti, a capo di un governo di emergenza nazionale, si incontrava con i vertici del partito comunista cinese che hanno una profonda conoscenza della realtà italiana e hanno già pianificato una loro presenza più attiva.
 
Fondi sovrani in attesa  Non si tratta solo dei 200 milioni di nuovi ricchi turisti, attratti dallo stile di vita mediterraneo, ma della possibilità concreta di spalancare la strada ai grandi capitali, detenuti dai “fondi sovrani” come il Cic (China investment corporation), che ha un plafond di 200 miliardi di dollari da far fruttare in tutto il mondo. Il fondo si chiama sovrano perché è interamente posseduto dal governo cinese. Solo per avere un’idea dei margini di manovra possibili a livello mondiale, si può tener conto che il grande Paese asiatico, secondo gli esperti, ha accumulato riserve per oltre tremila e duecento miliardi di dollari.
 
L’interesse dei fondi si rivolge alle aziende strategiche come Eni o Enel, ma la presenza cinese è attesa anche da tantissime realtà finanziarie e industriali italiane. Come avviene per lo stabilimento di pullman Irisbus di Avellino, appena dismesso dalla Fiat. Così anche il progetto principale che Sviluppo Italia ha selezionato per l’ex fabbrica Fiat di Termini Imerese, in Sicilia, coinvolge la Cina tramite il suo corrispondete italiano Drs. E la mappatura potrebbe continuare. L’ex presidente Romano Prodi si reca spesso in Cina per intessere relazioni e tenere conferenze, mentre uno dei simboli del capitalismo italiano, Cesare Romiti, è il presidente della Fondazione Italia-Cina.
 
Globalizzazione come legge naturale È in questo contesto che Marchionne, alla Bocconi, cita le parole di Kofi Annan, l’ex segretario africano delle Nazioni Unite, quando afferma che «mettere in discussione la globalizzazione è come mettere in discussione la legge di gravità». Per il manager italo-canadese non si tratta più, in questo momento, di rivolgersi all’estero per aumentare i ricavi, ma serve guardare fuori per sopravvivere. Perché «fare business a livello globale è uno sport di contatto e quando arrivi sul campo da gioco trovi concorrenti che stanno già vendendo quel tipo di prodotto ai tuoi potenziali clienti».
 
In un mercato come quello europeo dove si produce troppo, considerando quanto si riesce a consumare, per l’amministratore delegato di Fiat resta solo la strada dell’esportazione al di fuori del vecchio continente. Ma delocalizzare non è la sola arma in mano agli imprenditori «per abbattere i prezzi». Insomma non c’è solo la Polonia e la Serbia, dove la Fiat ha già esportato parte consistente della produzione. Esiste, anche, un dovere morale nei confronti della propria comunità nazionale per «riprendere in mano il proprio destino». Così «la decisione di riportare a Pomigliano la produzione della nuova Panda non è una scelta dettata da logiche razionali o economiche, ma dal senso di responsabilità e dalla coscienza dell’importanza che l’industria dell’auto riveste per l’economia di un Paese».
 
Come vincere la sfida
 
L’idea che muove la Fiat e Marchionne è quella di far vedere che «c’è una larga parte del Paese che lavora e vince le sfide, che non perde tempo a predicare», mentre «a volte, ho l’impressione che ci sia un atteggiamento passivo nei confronti del presente». L’origine, secondo il dirigente Fiat,  è la degenerazione del Sessantotto, «un movimento di lotta pienamente condivisibile […] ma con effetti devastanti nei confronti dell’atteggiamento verso il dovere. Oggi viviamo l’epoca dei diritti. Il diritto al posto fisso, al salario garantito, al lavoro sotto casa; il diritto a urlare e a sfilare; il diritto a pretendere». Ma i diritti, ha affermato Marchionne «sono sacrosanti e vanno tutelati, ma se continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo». Di fronte alla crisi economica che porta le persone a suicidarsi, «il lavoro su cui è fondata la nostra Repubblica sta scomparendo sotto i nostri occhi» e il sistema del welfare state, «un sistema pensato per aiutare i più deboli», ha «perso la sua efficacia» perché «le regole di oggi non ci proteggono dalla crisi e non hanno la capacità di gestire i cambiamenti che avvengono a livello mondiale».
 
Marchionne, davanti agli studenti e ai professori dell’ateneo ha ricordato, infatti, i suoi fondamentali studi umanistici: «La filosofia mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente ad altro». Altre visioni sono, a suo dire, segnate dal vizio dell’ideologia e dei tabù, mentre ai suoi «ragazzi in Fiat e Chrysler» chiede di «cambiare prospettiva e rovesciare il tavolo ogni giorno perché […] la concorrenza sa già da tempo quello che noi abbiamo appena scoperto». Con l’invito finale ad avere sempre il coraggio di «cambiare idea, approccio, punto di vista».
 
In questa fase della storia italiana bisogna tener conto di questa visione della vita e del modo di affrontare la sfida della globalizzazione. Servirebbe un dibattito reale e aperto, perché le filosofie destinate a incidere sulla vita di tutti possano essere diverse. A partire dalla definizione e dei doveri, reciproci, così come dell’esistenza stessa dello stato sociale.

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