Vialli nel cuore di tutti

Ricordiamo quello che è stato un grande calciatore e ancor prima un grande uomo, un esempio nell'affrontare la sua malattia a testa alta
Vialli
Foto Tano Pecoraro/LaPresse 08 Gennaio 2023 - Genova, Sampdoria vs Napoli - Campionato italiano di calcio Serie A TIM 2022/2023 - Stadio Luigi FerrarisNella foto: riscaldamento - i giocatori della Sampdoria indossano la maglia numero 9 in ricordo di Gianluca Vialli

Gianluca Vialli ha lasciato il terreno di gioco di questa vita lo scorso fine settimana all’età di 57 anni, onorato da tutto il mondo nello sport. In meno di un mese perciò in cui gli appassionati di sport hanno visto la dipartita di Sinisa Mihajlovic, Mario Sconcerti e Pelè, rende l’anima anche il noto ex calciatore, allenatore e dirigente sportivo, per via di un tumore al pancreas.

Vialli, simbolo del calcio internazionale tra gli anni ’80 e ’90, lottava con la malattia da lui stesso definita “ospite indesiderato” dal 2017. Nel 2018 aveva deciso di rendere pubblica la notizia: “Vorrei che un giorno qualcuno mi guardasse, o mi pensasse, e dicesse: È anche per merito tuo se non mi sono arreso”, disse. E così, possiamo dire, è stato, secondo le testimonianze di medici e pazienti.

La carriera in campo…

Nato a Cremona, ha vestito la casacca della squadra della città in serie C, prima di sfondare debuttando in serie A nel 1984 per la Sampdoria, squadra che lo consacrerà tra le stelle del calcio di quegli anni grazie alla vittoria, la prima per la squadra blucerchiata, nella trentottesima edizione della Coppa Italia. È in questi anni che conosce Roberto Mancini con cui formerà una coppia d’attacco eccezionale: i due instaurano un sodalizio che durerà per il resto della sua vita sia dentro che fuori dal campo e che si è sportivamente concluso con la straordinaria vittoria degli Europei di calcio nell’Estate 2021, spedizione in cui Vialli era apprezzatissimo collaboratore.

Un sodalizio che permise ai “gemelli del goal” di ottenere il primo e unico scudetto per la Sampdoria. Poi il giocatore si trasferisce alla Juventus, squadra con cui vincerà la sua quarta coppa Italia e scudetti e di cui diventerà capitano, passando alla storia come probabilmente il centravanti italiano più completo di sempre, senza scordare l’ultima storica Champions League della Juventus, alzata al cielo da lui nel maggio 1996 dopo avere battuto ai rigori l’Ajax.

L’ultima maglia vestita fu quella del Chelsea, con la quale riuscì a battere inaspettatamente il Real Madrid nella partita di supercoppa UEFA del 1998. Fu l’ultima stagione da giocatore in campo, prima di fare anche l’allenatore per il “blues”. Ha vestito la maglia azzurra ai mondiali nel 1986 e nel 1990, ma con qualche acciacco che non lo fece mai esprimere al massimo della forma. Dopo la partita di qualificazione per il campionato del mondo del 1994, infatti, decise di rinunciare a ulteriori convocazioni.

…e a bordocampo

Dopo alcuni anni come opinionista e analista calcistico in televisione, il 9 Marzo 2019 viene nominato ambasciatore italiano e capo delegazione della nazionale italiana per il campionato d’Europa 2020. Il 2021 è un anno magico, che lo vede appunto come consigliere ed esempio per gli azzurri che riusciranno ad aggiudicarsi il titolo di campioni d’Europa anche grazie alla guida dall’ex compagno di squadra Mancini. Dallo scorso dicembre era stato costretto ad abbandonare di nuovo il mondo del calcio per l’acuirsi della malattia. Non senza lasciare importanti esempi.

La malattia e l’esempio

Era il 2018 quando in un’intervista ai colleghi del Corriere della sera rivelava di combattere un tumore. “L’ho considerata semplicemente una fase della mia vita che andava vissuta con coraggio e dalla quale imparare qualcosa”, diceva. Un campione anche in lucidità. In una puntata della serie “Una semplice domanda” di Alessandro Cattelan l’ex calciatore mette a nudo le sue fragilità e confessando al presentatore: “La malattia non è esclusivamente sofferenza […] La considero anche un’opportunità, un compagno di viaggio, che spero prima o poi si stanchi. Cerco di non perdere tempo, di dire ai miei genitori che gli voglio bene. Mi sono reso conto che non vale più la pena di perdere tempo e fare delle stronzate. […] Siamo qui per cercare di capire il senso della vita e io ti dico: ho paura di morire”.

“Speravo in un miracolo” ha affermato proprio Roberto Mancini che ha ricordato Vialli prima dei funerali celebrati a Londra in forma privata. Il membro del duo storico dei gemelli del goal ha raccontato la vita passata insieme a Vialli come amici fraterni e parlato dell’ultimo saluto avvenuto in Inghilterra pochi giorni prima dell’anno nuovo. Un saluto, gioioso, caratterizzato da scherzi e dal buon umore che ha contraddistinto Gianluca Vialli durante tutto il corso della malattia. I colleghi del Guardian hanno dedicato a Vialli un tributo definendolo un giocatore stellare che è stato in grado di entrare nel cuore di tutti, mentre nel finesettimana tutti gli stadi d’Italia si sono fermati per dedicargli un ultimo saluto. I giocatori del Chelsea, durante la partita contro il City a Manchester sono scesi in campo indossando la maglia numero 9, il suo numero. Anche il mondo dello spettacolo piange l’ex giocatore della Sampdoria.

Quell’inquietante sospetto medico

Ma dopo il dolore e la preghiera, arriva anche il tempo di un’inquietante analisi di cui tenere conto: già nel 2005 lo studio dell’Isituto Superiore di Sanità, ha spiegato il dottor Nicola Vanacore, “aveva rilevato il doppio dei casi di morte tra i calciatori a causa del tumore al pancreas”. Dagli anni ’60 al 6 gennaio 2023, centinaia sono state le morti misteriose dei calciatori italiani. E’ stato in particolare il collega Massimiliano Castellani su Avvenire a tentare di addentrarsi negli ultimi vent’anni di quel velo di mistero tra due filoni paralleli d’inchiesta giornalistica, raccolti nei testi Morti bianche del calcio (centinaia di casi) e poi del Morbo del Pallone (su circa 60 vittime di Sla-Sclerosi laterale amiotrofica).

Tutto cominciò dalla frase sibillina di Zdenek Zeman, allora tecnico della Roma che durante il ritiro precampionato dei giallorossi, nella stagione 1998-‘99, affermò ai colleghi dell’Espresso: “È ora che il calcio esca dalle farmacie. […] Sono sbalordito a cominciare da Gianluca Vialli, per arrivare poi ad Alessandro Del Piero. Pensavo che certi risultati si potessero ottenere soltanto con il culturismo, dopo anni e anni di lavoro specifico”. Il tempo e la ricerca medica diranno se alcune sostanze dopanti sono state somministrate a quei ragazzi, magari anche a loro insaputa ed hanno inciso così gravemente sulla salute.

Eredità e ricordo di uno spirito esemplare

Intanto ci lascia quindi, non solo un grande calciatore che ha rappresentato l’Italia nel mondo, ma anche un grande uomo. Un uomo che ha saputo affrontare la malattia con il sorriso e la voglia di vivere anche quando faceva più paura. Ma soprattutto, che ne ha fatto occasione di dono ed esempio e non di sola, seppur umana, disperazione.  “Luca aveva una voce rassicurante, decisa: un personaggio che ispirava non solo fiducia ma anche carisma, determinazione, la voglia di mettere il petto in fuori e affrontare qualsiasi tipo di sfida, indipendentemente dal fatto che potesse sembrare insuperabile – ha detto di lui proprio Del Piero ai colleghi di Sky. – Era un ragazzo molto sensibile agli umori, agli sguardi e riusciva a tramandare consapevolezza e sicurezza nei propri mezzi, così come ogni tanto trasmetteva le sue paure nello spogliatoio per condividerle. Penso che una delle cose più belle che lui abbia fatto proprio in quegli anni lì, e a questo punto penso l’abbia fatto per tutta la sua carriera sentendo le testimonianze e le parole di chi ha vissuto con lui più anni di me, è quella di aggregare le persone, renderle unite davanti alle proprie paure, gioie ma anche alle sconfitte”.

“Luca era tutto, non solo per chi loha conosciuto e per il coraggio che ha avuto di fronte alla malattia – ha affermato un altro storico amico e collaboratore, Attilio Lombardo. – Era sempre sorridente e luminoso”.

 

Cerco di insegnare ai miei figli che la felicità dipende dalla prospettiva attraverso cui guardi la vita. Bisogna migliorarsi ogni giorno, vivere e aiutare gli altri. Non vale più la pena perdere tempo con cose che non hanno senso, non c’è tempo – diceva Vialli stesso. – La vita è fatta per il 20% di quello che succede e l’altro 80% di come reagisci. La malattia può spingerti oltre il modo superficiale di come viviamo la vita. Certo non sono grato al cancro ma non la considero una battaglia. È un compagno di viaggio e spero che un giorno si stancherà. Bisogna accettare le emozioni, anche quelle più difficili da gestire. Se non sei mai triste come fai a capire quanto è bello essere felici?”, ha raccontato. E così vorremo ricordarlo. Torna a calciare lassù, ora: a Dio, Gianluca.

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