Viaggio nella religiosità bangwa

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Le gomme delle grandi ruote stanno per addentare gli assi di legno dello stretto ponte, quando il gippone si blocca. Alexander, medico anestesista salvadoregno all’ospedale di Fontem, ha visto due falle sulla pavimentazione. Mancano le spallette di protezione e il fiume scorre quattro metri sotto. Con precise indicazioni, la Toyota riesce ad oltrepassare il ponte e il viaggio prosegue sino a Fonjumetaw. Lì ci aspetta il locale fon, autorità regale e religiosa di quella porzione del popolo bangwa. Le sessioni itineranti del convegno sulla religione tradizionale africana consentono ben più di un approfondimento: si tratta di un’immersione in una religiosità sconosciuta anche a molti cristiani del posto. Sua Maestà, seduto sul trono, introduce all’essere soprannaturale invisibile: lo chiama il Padre del Regno. È il creatore del cielo e della terra. La natura, nelle sue grandiose manifestazioni, ne rivela la potenza. Il bosco, la montagna, la cascata sono luoghi che esprimono una sua particolare presenza, ma non sono oggetto di adorazione. L’essere soprannaturale accompagna l’uomo, premia chi compie il bene e punisce chi opera il male. Una danza eseguita nel cortile interno del palazzo esemplifica un aspetto della ritualità. Un mondo che non ha nulla a che spartire con il cristianesimo, verrebbe da pensare. E invece il fon traccia un parallelo tra le due religioni: In entrambe ci sono la consapevolezza di un Dio che è amore, l’impegno personale ad amare gli altri, l’esigenza costante della preghiera. L’apertura del fon di Fonjumetaw (e degli altri re) manifesta la sintonia, l’accoglienza, la considerazione trovate in Chiara Lubich. Il viaggio d’istruzione prosegue nel regno limitrofo, quello di Fotò. Il fon illustra altri aspetti della religiosità tradizionale: il mondo degli antenati. Il fon li rappresenta e, suo tramite, dispensano consigli e avvertimenti. Sono i progenitori che hanno vissuto rettamente. Sono vicini alla divinità e continuano a restare al fianco dei propri cari. Sono considerati messaggeri tra creatore e creature. Il senso della comunità è spiccato: divinità e antenati non apprezzano che uno viva da solo, e nemmeno che mangi da solo. Al cospetto del giovane re di Fotabong, 27 anni, si svolge l’ultima parte del suggestivo itinerario. Lascia al consigliere anziano l’incarico di illustrare le credenze tradizionali. C’è un premio già su questa terra per chi fa il bene: avrà tanti figli, coltivazioni rigogliose e felicità assicurata. Al contrario, la malattia fisica e mentale, l’infecondità e gli insuccessi manifestano il male compiuto da un familiare o l’invidia, l’odio nutriti da estranei. E qui si sfocia nella superstizione e nella stregoneria. Per venire purificati dal male compiuto o dal malocchio ricevuto, c’è bisogno del sangue di una capra o di una gallina, di riti e danze assieme alle preghiere del fon. Un tempo, fon e notabili imploravano la morte per chi avesse compiuto il male. Il lungo contatto con i missionari e gli stretti rapporti con i focolarini hanno cambiato il senso della preghiera: ora si chiede a Dio di cambiare il cuore del malfattore.

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