Viaggiando Gerusalemme

Nello stallo, il bisogno di unità ai vari livelli. Un viaggio tra cristiani, ebrei e musulmani.  
Emmaus Gerusalemme

Si dice comunemente «viaggiando a Roma, Washington o Tunisi». Oppure «viaggiando in Croazia, in Australia o in Indonesia». Si usano pure espressioni come: «viaggiando con, per, su»… Poco usata è invece l’espressione senza preposizione «viaggiando Parma, o Mosca, o Nairobi». Eppure è una formula che suggerisce il fatto che il viaggio non è turistico o culturale, ma esistenziale. Senza filtri, senza diaframmi.

Nel nostro caso, «viaggiando Gerusalemme» vuol dire che si soggiorna nella città santa, la si respira, si vive di essa, si cerca di penetrarne le viscere più intime. Così è stato il viaggio della presidente dei Focolari, Maria Voce, e del copresidente Giancarlo Faletti. Un reportage insolito sulla città.

 

La città cattolica

 

Viaggiando Gerusalemme si scopre una città dentro l’altra, una sull’altra: quelle cattolica, cristiana, ebrea, musulmana e civile. È questa plurima entità che Maria Voce ha incontrato nel corso del suo recente viaggio, dall’11 al 20 febbraio. A cominciare dal variegato mondo della Chiesa legata a Roma, nei suoi diversi riti, da quello latino a quello maronita, rappresentato dall’arcivescovo Nabil Sayah. Caloroso l’incontro col nunzio, arcivescovo Antonio Franco, un vero amico.

È il patriarca dei latini, mons. Fouad Twal, che dà il tono: «Le preoccupazioni della gente sono le nostre. Sembra che l’ascesa al Calvario non abbia mai fine qui in Terra Santa». Ma guai a scoraggiarsi: «Osservo che si sono formate cento e più associazioni che raccolgono ebrei, cristiani e musulmani, gente che dialoga. Avverto che poco alla volta, forse a causa del tanto dolore patito, si comincia a parlare di “vicini” e non più solo di “nemici”». Maria Voce riprende: «Se nell’istinto di difesa delle persone entra un po’ di amore, ecco che si va avanti, senza cedere alla disperazione». Conclude il patriarca:

«Questa è la specialità di noi cristiani».

 

Ogni gruppo cristiano, nel corso della sua storia, avverte l’esigenza di mettere piede a Gerusalemme e di prendervi dimora. Perché qui la Grande Storia ha conosciuto un nuovo inizio, e anche la Piccola Storia di ogni gruppo cerca la sua via specifica. Maria Voce ha incontrato innanzitutto carismi antichi: i francescani in testa, con il “custode” della Terra Santa, padre Pizzaballa, che le ha tracciato un panorama esaustivo della situazione socio-politica della regione; quindi i padri assunzionisti alla chiesa del Gallicantus, accanto alla scaletta sulla quale si ritiene che Gesù abbia pronunciato il suo testamento dell’unità; le suore clarisse, un’oasi di preghiera e di serenità. Ma Maria Voce ha incontrato nel corso di un caloroso appuntamento alla Custodia anche i carismi più recenti, da Cl al Chemin Neuf, che si sono reciprocamente raccontati con semplicità e pudore la loro avventura gerosolimitana, ognuna originale e nel contempo assai simile alle altre. Strade che incrociano i pellegrini, operano per favorire la conoscenza della Terra Santa e dei suoi tesori, e non disdegnano certo di favorire il turismo ai luoghi santi.

 

La città cristiana

 

Gerusalemme è anche città ecumenica, nel senso che le varie Chiese cristiane vi hanno delle sedi più o meno importanti. Tra tutte, quella greco-ortodossa ha una priorità storica e numerica: così il patriarca Theophilos III ha ricevuto Maria Voce nello storico palazzo patriarcale vicino al Santo Sepolcro.

 

Chi conosce la storia sa bene tutti i conflitti che hanno opposto nei secoli le diverse Chiese in Terra Santa. Il clima è ora certamente migliorato, anche se parlare di un “vero ecumenismo” è ancora difficile. Ma nel colloquio tra il patriarca e la presidente si respira il desiderio di “alzare il tono della discussione”, ancorandosi «all’unità dei cristiani “in Cristo”, nel suo amore», come precisa Theophilos III. Maria Voce spiega cosa voglia dire “unità” per i focolarini, «l’unità che Gesù ha chiesto alla sua Chiesa». In questo spirito il patriarca le raccomanda di occuparsi in particolare dei giovani.

Stesso sfondo di sofferenza ma anche di fiducia nel colloquio che la presidente ha avuto con il vescovo luterano Munib Younan, presidente della Federazione luterana mondiale: «Avverto nella gente – esordisce – la forte tentazione di occuparsi solo di cose materiali, mentre qui c’è bisogno di Dio». E specifica: «Abbiamo bisogno di una profonda spiritualità, per i nostri figli e per noi stessi, profondamente evangelica». Maria Voce fa notare come essa sia naturalmente ecumenica. «Musulmani ed ebrei – aggiunge Younan – non si preoccupano di capire se siamo cattolici o luterani. Siamo innanzitutto cristiani». «E l’unità è la nostra forza», conclude la presidente dei Focolari.

 

Incontro anche al patriarcato armeno-apostolico, dove Maria Voce s’intrattiene con il vescovo Aris Shirvanian, primo collaboratore dell’anziano patriarca Torkom I Manughian. Una Chiesa in arretramento è quella armena, con 1500 fedeli a Gerusalemme. Ma è una Chiesa indomita: ne ha viste di ben peggiori nella sua storia: «Dobbiamo essere uniti per difendere la Chiesa – dice –, anche se non esistono problemi particolari per noi armeni, perché continuiamo a vivere per mantenere la nostra eredità». Maria Voce sottolinea la grandezza di questa vocazione. «Sì – riprende il vescovo –, bisogna cercare di essere “ponti” tra le Chiese, tra le religioni, tra i popoli».

 

La città ebrea

 

La parte ebraica di Gerusalemme è certamente quella attualmente più dinamica, nel senso che le costruzioni e le ristrutturazioni si moltiplicano nel quartiere ebraico, mentre prosegue anche l’avanzamento in altre parti non tradizionalmente ebraiche della città, talvolta con metodi commerciali aggressivi che lasciano perplessi.

All’università ebraica di Gerusalemme, nella prestigiosa sede dell’Istituto Truman per la pace, e per iniziativa dello stesso insieme al Centro per lo studio del cristianesimo, Maria Voce parla del «ruolo del dialogo nel promuovere la pace», moderata da Manuela Consonni, a capo della sezione di Studi italiani. La sede prestigiosa nella quale si svolge il meeting alla presenza di un’ottantina di uditori scelti – tra cui il nunzio, il vescovo ausiliare di Israele mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, il rabbino David Rosen, la signora Debbie Weissmann, presidente del Iccj, (International Council of Christians and Jews), rabbini ed accademici ebrei, rappresentanti palestinesi, responsabili di comunità e congregazioni cristiane –, manifesta l’interesse di numerose personalità, in particolare del mondo ebraico, nei confronti del Movimento dei focolari, dopo decenni di presenza in Terra Santa. Una presenza fatta di numerosi e duraturi contatti instauratisi con singoli ma anche con istituzioni e associazioni impegnate nel dialogo, in particolare interreligioso. «Il messaggio portato da Maria Voce, quello di Chiara Lubich, mette in luce la presenza di Dio nell’altro», commenta in conclusione Rabbi David Rosen. E Rabbi Emile Moatti: «Il dialogo deve penetrare nelle pieghe della storia dei conflitti, per farsi esso stesso storia».

Notevole anche l’incontro all’Icci (Interreligious Coordinating Council in Israel) del rabbino Ron Kronish, impegnato con la sua “associazione di associazioni” nel mettere assieme ebrei, musulmani e cristiani per sperimentare qualcosa che assomiglia al perdono e alla riconciliazione.

 

La città musulmana

 

La parte araba della città di Gerusalemme è abitata in massima parte da musulmani, anche se i cristiani continuano ad avere un loro peso nell’equilibrio della città. I numerosi contatti con il mondo musulmano avuti da Maria Voce hanno avuto il loro coronamento in una visita alla Spianata delle moschee, l’antico Tempio di Gerusalemme. In una giornata meravigliosa, i marmi esplodono di luce, le maioliche azzurre sposano il cielo, la cupola d’oro invita alla riconciliazione nel segno d’Abramo. Donne, uomini, vecchi e bambini sono uniti dalla preghiera. Eppure nei loro sguardi c’è tanto d’altro, oltre al sentimento della pace, c’è frustrazione e talvolta odio. Iddio sa. Un vecchio legge il Corano sui tappeti rossi e bianchi della moschea di al-Aqsa. Viene da Ramallah, ma ormai abita a Gerusalemme Est, perché suo figlio ha trovato lavoro come idraulico. Nelle sue poche parole in inglese che riesce a dire c’è tutto un popolo: «Allah mi ha fatto nascere, Allah mi ha portato alla città santa, Allah mi fa sperimentare l’impotenza, Allah mi prenderà con sé quanto prima».

 

La città civile

 

Nella confusione della politica, la città di Gerusalemme comunque continua a vivere, a cercare una via di condivisione o almeno di sopravvivenza. È così che, nel luminoso nuovo palazzo del comune di Gerusalemme, Maria Voce incontra il vicesindaco della città, una gentile e decisa donna politica, Naomi Tsur, che vuole creare una rete di città che possano federarsi insieme come “città del pellegrinaggio”. Ha chiesto collaborazione in questo suo “sogno”, in modo «che si veda quanto di buono si fa a Gerusalemme, e non solo le difficoltà».

 

Altri amministratori Maria Voce li incontra al di là del muro, a Betlemme. I pellegrinaggi, l’unica vera risorsa della città, vivono un periodo positivo. «È l’entrata economica migliore della Palestina – dice a Maria Voce il ministro per il turismo, la signora Khouloud Daibes, cristiana –, sono circa 2 milioni e 300 mila quelli che passano qui dalla Natività e negli altri luoghi santi dei Territori palestinesi. Purtroppo la stragrande maggioranza dei profitti del turismo, circa il 90 per cento, rimangano in Israele. Abbiamo pochi soldi e le risorse sono limitate per migliorare le infrastrutture». La ministro continua: «Non ci possono essere prospettive durature – 20 per cento di disoccupati e stipendi bassi –, anche in campo economico, se non si trovano con decisione soluzioni politiche. È tempo anche per Israele di ricostruire rapporti corretti con le popolazioni, per il loro stesso interesse».

 

L’incontro con i politici palestinesi, cristiani e musulmani si è svolto su iniziativa della Fondazione Giovanni Paolo II, che dal 2007, guidata da padre Ibrahim Faltas, vuole fornire conoscenze, risorse e infrastrutture per lo sviluppo sia a livello individuale e comunitario della Palestina. Maria Voce ha voluto «condividere con chi ha in mano le sorti di questo mondo i nostri ideali di fraternità». Una fraternità che in politica vuole che la gente si senta apprezzata e appoggiata da chi gestisce la cosa pubblica. Il sindaco di Betlemme ha voluto notare «come gli ideali dei Focolari siano anche i nostri. Sono spinte che possono portare ad abbattere quei muri che dividono queste terre. Non tanto e non solo i muri materiali, ma soprattutto quelli invisibili».

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