Verso il voto, trovare segni di speranza

Nonostante i suoi difetti la legge elettorale realizza una semplificazione del quadro politico. Il voto è un diritto non scontato che va esercitato con solennità e attenzione ai contenuti, senza pretesa di una parte di avere l’esclusiva del bene comune. La nostra apertura al pluralismo di idee e di priorità renderà meno impellenti gli slogan identitari e le offese. Contributo al dibattito verso le elezioni politiche del 25 settembre promosso da Città Nuova. Vedi Focus
Voto consapevole e informato Foto Claudio Martinelli/LaPresse

“Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”, dice san Paolo, e in questa direzione i cristiani sono richiamati alla vocazione di dare un segno concreto di speranza, anche in condizioni difficili.

La cosa si complica quando parliamo di politica e di elezioni. In questo caso prevale in molti la tentazione di “intestarsi” il bene comune (solo io concorro al bene ….), nell’intento un po’ didattico di aprire e conquistare spazi alla propria parte politica. La speranza è racchiusa quindi nella vittoria di una parte, mentre l’eventuale sconfitta viene vista come una sciagura per il Paese. “Fuori dalla mia coalizione non c’è salvezza”, potremmo riassumere.

La tentazione opposta è quella di disinteressarsene, per non avere problemi, di non parlarne e non andare a votare, in fondo prendere posizione è sempre scomodo, accontenti qualcuno e scontenti qualcun altro, anche a casa, sull’ambiente di lavoro e nelle serate tra amici. Ma anche qui il Vangelo non tratta bene i “tiepidi”, quelli che non sono “né caldi né freddi” (Ap 3, 14-20).

Nel mezzo c’è la via stretta dei cittadini attivi, che “perdono” un po’ di tempo a leggersi i programmi e ad andare oltre gli slogan, non chiedono all’amico, al prete o al laico consacrato per chi bisogna votare ma fanno la fatica di maturare un’idea politica declinata al presente e diffidano fortemente dai dispensatori di verità rivelate.

La politica è partecipazione, non cieca adesione ad analisi formulate da altri. Ognuno di noi ha una storia, dei valori, un’idea di sviluppo dell’umanità e, fino a prova contraria, siamo tenuti a dare fiducia a chi si presenta come candidato e porta la propria base di idee e di valori, e magari cercando di comprendere proprio quelli più lontani da noi possiamo trovare spunti per arricchire la nostra posizione.

È una roba strana, pensare che non siamo completi senza l’altro e che ognuno può portare un contributo al bene comune, ma anche questa storia della Trinità è strana e forse in qualche modo le cose si richiamano…è stata una provocazione del professor Massimo Donà ad un convegno del Movimento Politico per l’Unità (il convegno completo qui ). Magari anche Chiara Lubich quando diceva “Amare il partito altrui come il proprio” non pensava una cosa molto diversa da questa.

Ma come vedere un segno di speranza se si è interrotta l’azione di un governo di unità nazionale, che a seguito di vari tentativi di alleanze, tutti falliti, aveva comunque portato avanti sin qui le riforme del PNRR, non era meglio lasciarlo lavorare ed è stato un tradimento dell’interesse nazionale farlo cadere? Qualcuno può legittimamente pensarlo ma va considerato anche il reale travaglio che ha attraversato il Movimento 5 Stelle, soprattutto sui temi dell’ambiente e della fornitura di armi all’Ucraina, sino alla decisione impopolare di non votare la fiducia al governo sul decreto legge Aiuti. Non sono temi da prendere a cuor leggero, quindi anche per chi non condivide la scelta fatta almeno il rispetto e la non denigrazione dei parlamentari 5 stelle ritengo sia dovuto.

E dov’è la speranza in una campagna elettorale in cui il principale argomento è che “gli altri” non sono adatti a governare? Sicuramente nella possibilità che abbiamo di eleggere i nostri rappresentanti, che troppe volte diamo per scontata e che in altri Paesi non è disponibile. Dobbiamo tenercela stretta andando con solennità a votare.

La legge elettorale, che ha ancora molti difetti, comunque realizza una semplificazione del quadro politico con 5, 6 gruppi che realisticamente entreranno in Parlamento, anche se poi divisi in correnti al loro interno.

E la vera novità potremo farla proprio noi elettori, che conoscendo e premiando i contenuti più che la tifoseria, i litigi e la denigrazione dell’avversario possiamo far cambiare linguaggio alla politica.

La nostra apertura al pluralismo di idee e di priorità renderà meno impellenti gli slogan identitari e le offese. La nostra volontà di seguire il lavoro parlamentare anche e soprattutto dopo le elezioni mediante un rapporto diretto con gli eletti contribuirà a far sentire meno soli i rappresentanti, e maggiormente tenuti a rispondere agli elettori delle loro scelte. «Rendete ragione della speranza che è in voi» diceva Giovanni Paolo II ai giovani, e questo periodo elettorale è quanto mai propizio per la pubblica testimonianza.

 

Contributo al dibattito verso le elezioni politiche del 25 settembre promosso da Città Nuova. Vedi Focus

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