Verso una grande tenerezza

Ogni autore di successo vive questa strana situazione: lui scrive per essere letto, altri scrivono per commentare i suoi scritti. Ancora più strana si fa questa situazione per la poesia. La poesia è un soffio, un venticello; a volte una vampata, un furore che ti fa arrossire le guance e ti scompiglia l’anima. Come si può commentare la brezza? La poesia alle volte è musica indecifrabile, alle volte aquila che ti porta a vette inaudite, sopra abissi che la ragione può solo intuire. Come si può commentare l’abisso? La poesia è vino che inebria, è lamento inconsolabile… parole come ali del silenzio, direbbe Neruda. Come commentare tutto questo? Alla poesia ci si può avvicinare esclusivamente con partecipazione: in allegria o con l’animo trafitto. Ma sempre in punta di piedi, come solo ci si può affacciare all’anima altrui. Quindi questa volta non voglio assumermi l’onere di commentare un poeta. Soprattutto un grande poeta come Pablo Neruda. Anche se l’occasione della celebrazione del centenario della sua nascita lo richiederebbe. Questo avvenimento non è celebrato solamente nella sua patria, il Cile, ma in tutto il mondo e soprattutto in Italia, paese amatissimo dal poeta dove visse momenti molto felici e scrisse versi bellissimi. Perché lui ha fatto della poesia una festa popolare, un canto vivo all’amore, agli ideali di libertà ed uguaglianza attraverso tutte le frontiere. Poeta potente e prolifico, Neruda durante la sua lunga carriera letteraria ha prodotto più di quaranta libri di poesia, traduzioni e teatro in versi. Genio immaginativo che rifugge ogni scuola, egli cominciò come simbolista, poi fu surrealista e realista, infine abbandonò la struttura formale della poesia per una espressività più semplice, più immediata e viscerale. Per non perdersi nel commento, lasciamolo parlare. Neruda fu poeta che toccò il cuore della gente, ma anche appassionato ed entusiasta politico. Fu comunista fino al midollo, ma non un fanatico. Credeva nella sua lotta, crede- va che essa sarebbe sfociata in un bene maggiore. Forse si sbagliava, il fallimento del comunismo reale non era ancora evidente allora. Lui vedeva in esso il cammino verso un mondo migliore che avrebbe portato ad una maggiore giustizia per tutti; anzi ad una condivisa ed universale tenerezza. Nella sua affascinante autobiografia Confesso che ho vissuto scriveva: Voglio vivere in un mondo in cui gli esseri siano soltanto umani, senza altri titoli che questo, senza darsi in testa con una regola, con una parola con un’etichetta. (…) Non ho mai capito la lotta se non perché abbia termine. Non ho mai capito il rigore, se non perché il rigore non esista. (…) Di tutti questi incontri fra la mia poesia e la polizia, di tutti questi episodi e di altri che non racconto (…), mi resta tuttavia una fede assoluta nel destino umano, una convinzione sempre più cosciente che ci avviciniamo ad una grande tenerezza. Appassionato come politico, Neruda non lo fu da meno come uomo. Mi mangerei tutta la terra. Mi berrei tutto il mare, scriveva per dare la sensazione di quanto fosse grande il suo desiderio di vivere con tutto sé stesso. Lo testimonia anche questa sua poesia intitolata Lentamente…: (…) Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini/ sulle i piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli/ occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore/ davanti all’errore e ai sentimenti. (…) Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare;/ chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante./ (…) Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno / sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare./ Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità. Neruda non era religioso, non credeva nella vita dopo la morte. Forse per questo amava con esuberante, ingorda voracità la vita, e parlava della morte con atavica e pacata serenità: Sono rinato molte volte, dal fondo/ di stelle sconfitte ricostruendo il filo/ delle eternità che ho/ popolato con le mie mani,/ e ora morirò senza nient’altro, con terra/ sopra il mio corpo, destinato a essere terra. Neruda però fu soprattutto poeta, al di là di ogni classificazione politica. Poeta dei sentimenti, dell’amore, della sua terra, della lotta, della semplicità e della trasparenza dell’animo umano. Poeta della tenerezza, come hanno saputo mostrare alcune scene del film Il postino di Neruda, e questa toccante poesia: Qui stanno il pane, il vino, la tavola, la dimora/ il bisogno dell’uomo, la donna e la vita:/ a questo luogo correva la pace vertiginosa,/ per questa luce arse la comune bruciatura./ Onore alle tue mani che volan preparando/ i bianchi risultati del canto e della cucina,/ salve! L’integrità dei tuoi piedi corridori/ viva! Ballerina che balli con la scopa./ Quei bruschi fiumi con acque e minacce,/ quel tormentato stendardo della spuma,/ quegl’incendiari favi e scogliere / son oggi questo riposo del tuo sangue nel mio,/ quest’alveo stellato e azzurro come la notte,/ questa semplicità senza fine della tenerezza. NELL’ANNO DEL CENTENARIO il nutrito programma allestito dall’Ambasciata del Cile in Italia ha già visto manifestazioni d’ogni genere: seminari di studi, cicli di letture, concorsi di poesie, concerti di musica etnico-folcloristica, proiezioni, pubblicazioni, serate teatrali, con la partecipazione di artisti cileni e italiani. Segnaliamo dal 14 settembre al 16 ottobre, presso l’Istituto Italo-Latino-americano (Iila) e la Casa delle Letterature di Roma, la manifestazione Ode all’autunno, le cose e le case di Pablo Neruda e la mostra fotografica Confesso che ho vissuto, che ripercorre la vita del poeta con particolare rilievo al periodo da lui trascorso in Italia (in trasferta poi a Milano in novembre). Sempre l’Iila di Roma organizzerà l’importante incontro Hablo de Pablo cui seguirà un concerto del pianista Luìs Bacalon, autore della colonna sonora del film Il postino. PABLO NERUDA, pseudonimo di Neftali Ricardo Reyes y Basoalto, nacque a Parral in Cile nel 1904 e cominciò a scrivere le prime poesie da giovanissimo per poi diventare insegnante. Nel 1924 il suo Venti poesie d’amore e una canzone disperata divenne un best-seller. Importante membro del partito comunista cileno, divenne senatore dal 1945 al 1948. Nel 1948 fu costretto all’esilio per un processo politico intentatogli dal presidente del Consiglio Gonzales Videla. In quegli anni difficili scrisse Canto generale (1950) celebrazione della storia e della natura dell’America. Visse in Italia tra il ’51 e il ’52. Sostenne l’elezione di Salvador Allende e ottenne la carica di ambasciatore del Cile in Francia. Tornato in patria nel 1972, dopo aver ricevuto nel 1971 il premio Nobel per la letteratura e il premio Lenin per la pace, morì a Santiago nel 1973 pochi giorni dopo il colpo di stato di Pinochet, che segnò la fine del governo Allende e l’instaurazione della dittatura.

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